Santa Teresa d’Avila (di Gesù) Vergine e Dottore della Chiesa Fondatrice dell’Ordine Carmelitano delle “Scalze” e degli “Scalzi”


Teresa (nome completo: Teresa Sánchez de Cepeda Avila Y Ahumada) nasce ad Avila, a 85 km a nord-ovest di Madrid, il 28 marzo 1515.

I suoi profondi e religiosi ideali ascetici le furono trasmessi fin da quando era bambina dal padre, il cavaliere Alonso Sánchez de Cepeda, e specialmente dalla madre, Beatrice d’Avila y Ahumada.
Teresa era molto affascinata dalle biografie dei santi e da ragazza scappò molte volte di casa finché, nel 1534, lasciò di nascosto la sua famiglia ed entrò nel monastero dell’Incarnazione delle monache carmelitane ad Avila. In convento soffrì per molte malattie, ma ben presto riuscì a trovare in queste sofferenze una fonte di estasi spirituale, anche grazie all’uso di un suo libro di preghiera, l’Abecedario spirituale, il terzo della collezione dell’Alfabeto spirituale (pubblicato in sei parti tra il 1537 e il 1554). Questo lavoro, che segue l’esempio di numerosi scritti medievali, era una sorta di “guida” per l’analisi della coscienza, per l’autoconcentrazione spirituale e per la contemplazione interiore. Accanto a questo, Teresa, si servì di altri volumi mistici, come il Tractatus de oratione et meditatione di S. Pietro d’Alcantara e, forse, degli Esercitia di Ignazio di Loyola. Fu proprio Pietro d’Alcantara a spingere Teresa a dare una forma visibile ai suoi impulsi interiori, tanto che ne divenne ben presto consigliere e guida spirituale. Teresa fu quindi convinta di fondare un monastero per suore carmelitane e di cancellare la trascuratezza che trovò nel monastero di Avila ed in altri che visitò.

Nel marzo del 1563, quando Teresa si trasferì nel nuovo convento, raccolse in una “Costituzione” i suoi fondamentali principi di povertà assoluta e di rinuncia alla proprietà. Teresa stabilì, inoltre, che le suore dovevano camminare scalze, oppure sostituire le scarpe con sandali di legno o di cuoio. Per i primi cinque anni, Teresa rimase in isolamento, dedicandosi completamente alla scrittura.
Tra il 1567 e il 1571 vennero fondati conventi della riforma a Medina del Campo, Malagon, Valladolid, Toledo, Salamanca e Alba de Tormes. Grazie all’autorizzazione di Rubeo di Ravenna, capo dell’Ordine Carmelitano, Teresa poteva costruire due conventi per uomini che avrebbero accettato le sue riforme, e in questo fu aiutata da Giovanni della Croce e da Antonio di Gesù. Così fondarono il primo convento di Carmelitani scalzi nel novembre del 1568 a Duruello.

Un altro amico di Teresa, Geronimo Grecian, le diede aiuto nel fondare i conventi di Segovia (1571), Vegas de Segura (1574) e Siviglia (1575), mentre Giovanni della Croce, con la sua attività di maestro e di predicatore, promuoveva la vita interna del movimento.
Nel 1579 i processi dell’Inquisizione contro di lei e i suoi amici decaddero, e l’estensione della sua riforma fu pesantemente corretta. Negli ultimi tre anni della sua vita, Teresa fondò i conventi di Villanueva de la Jara, Palencia (1580), Burgos e Granada (1582).

La sua ultima malattia la colpì mentre era in viaggio da Burgos ad Alma de Tormes, dove muore nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 1582.
Il suo corpo rimane incorrotto (il cuore della santa è conservato in una teca) nella Chiesa della Anunciazione in Alba de Tormes.

È stata beatificata il 24 aprile 1614 da Pp Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621) e santificata il 12 marzo 1622 da Pp Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, 1621-1623).

Gli scritti di Teresa, dal chiaro indirizzo didattico, sono tra i più significativi della cultura della Chiesa cattolica :
la sua Autobiografia – il Cammino della Perfezione – il Castello Interiore – Relazioni; due opere minori sono Concetti dell’Amore ed Esclamazioni, oltre alle Carte, una raccolta di 342 lettere complete e 87 frammenti di altre.
Il nucleo del pensiero mistico di Teresa, individuabile in tutti i suoi scritti, è l’ascesa dell’anima umana attraverso quattro stadi (come scritto nella sua Autobiografia, cc. X-XXII):
– Il primo stadio è la « devozione del cuore »
– Il secondo stadio è la « devozione della pace »
– Il terzo stadio è la « devozione dell’unione »
– Il quarto stadio è la « devozione dell’estasi »

San Callisto I Papa e martire


Callisto nasce verso il 155 da una famiglia di schiavi d’origine greca che abitava la zona di Trastevere a Roma; diventò cristiano all’inizio della sua vita d’adulto. Fu inizialmente al servizio di un alto funzionario dell’imperatore Lucio Elio Aurelio Commodo (Lucius Aelius Aurelius Commodus), nominato Carpofaro, anch’egli cristiano, che lo incaricò di amministrare i suoi beni. In relazione di affari con alcuni ebrei di Roma, fece cattive operazioni, si sconvolse, prese la fuga, fu finalmente recuperato e chiuso in una cella segreta. Il suo padrone, che lo stimava molto, lo fece rilasciare, pensando che sarebbe riuscito a recuperare il denaro perso. Era sul punto di realizzarsi quando penetrò in un giorno di sabbat(sabato della settimana ebraica) nella sinagoga, perturbò l’ufficio che si celebrava e si fece mettere con severità alla porta dai partecipanti che lo consegnarono al prefetto Fusciano denunciandolo come cristiano.
Fu, quindi, condannato alle miniere di zolfo in Sardegna per avere disturbato una riunione ebrea e perché cristiano. Lavorò durante 3 anni all’estrazione del minerale in Sardegna e là fu a fianco di molti martiri cristiani, relegati come lui: dimostrò verso di loro una devozione ammirevole. Liberato e affrancato, verso il 190, passò alcuni anni ad Anzio.

Zefirino fin dalla sua elezione come papa, nel 199, lo chiamò al suo servizio come segretario personale e, nominandolo arcidiacono della città, lo rese responsabile della direzione del clero e della creazione del primo cimitero cristiano che fece scavare nel tufo sulla via Appia; oggi chiamato “Catacombe di San Callisto”.

Alla morte di Zefirino, nel 217, Callisto è eletto papa: lo rimase 5 anni 2 mesi e 10 giorni. Il suo breve pontificato fu tra i più difficili, segnato dall’opposizione di un sacerdote di Roma, Ippolito, brillante ma eccessivo. Callisto difese contro di lui e qualche altro la fede trinitaria e fece prevalere l’uso di assolvere tutti i peccati, anche quelli che i rigoristi, come Tertulliano, consideravano imperdonabili: l’idolatria, l’adulterio e l’omicidio. Riconobbe come valido il matrimonio tra schiavi e donne libere (non ammesso come legale dal diritto romano) ed accettò il nuovo matrimonio dei vedovi e la loro entrata eventuale nel clero.
Politica d’indulgenza generale che gli valse molte critiche: di fronte ai suoi oppositori, restò fermo e diede, senza stancarsi, l’immagine del buon pastore. Apprendendo che un cristiano era stato giustiziato, su ordine dell’imperatore Alessandro Severo, e gettato nel Tevere, Callisto si nascose sulle rive del fiume e con l’aiuto di alcuni pescatori e membri del clero, lo ritirò dalle acque, celebrando solennemente i suoi funerali nella sua catacombe di via Appia.

Muore il 14 ottobre 222 nel suo quartiere di Trastevere, vittima di una sommossa diretta contro i cristiani. Buttato dall’alto di una finestra in un pozzo, pieno di macerie, fu ritirato da un sacerdote una quindicina di giorni dopo e fu seppellito sulla Via Aurelia nel cimitero di Calepodio. Lasciava la chiesa in piena prosperità, organizzata corporativamente e dotata di una scuola di teologia. All’inizio del IV secolo, era dichiarato martire ed uno dei rari, all’epoca, ad avere una data anniversario che, secondo il Depositio Martirum (Callisti in viâ Aureliâ miliario III) e i martirologi seguenti, ricorre il 14 ottobre.

Nel 790 Pp Adriano I (772-795) fece traslare le sue reliquie a Santa Maria in Trastevere che, pare fosse stata costruita lì dove c’era un modesto oratorio consacrato a Maria che Callisto aveva fatto edificare nella sua casa: primo luogo di culto eretto alla memoria della Madre di Cristo nella Citta Eterna.

Papa Gregorio IV (827-843) ritrovò il suo corpo e quelli di Pp Cornelio e S. Calepodio sotto l’ingresso della basilica e li fece deporre sotto l’altare maggiore.

Significato del nome Callisto : « il più bello» (dal greco kalistos).

San Romolo di Genova,Vescovo Patrono di Sanremo


Romolo, venerato come Santo dalla Chiesa cattolica, fu vescovo di Genova, intorno al V secolo, e successore di S. Siro e S. Felice.

Non si hanno notizie certe sulla sua vita in quanto esiste una sua sola biografia anonima risalente al X° secolo; tuttavia ciò che è certo è che sia stato un uomo di notevole bontà e particolarmente portato a dirimere discordie. Morì nella città di Villa Matutiæ(oggi Sanremo), pare durante un viaggio pastorale nella Liguria di ponente; la sua morte è attribuita, per tradizione, al 13 ottobre.

Tale fu la venerazione per il vescovo che non si è certi di quanto si siano mescolati leggenda e realtà. La tradizione sanremese dice che Romolo venne educato a Villa Matutiæ; eletto vescovo, si recò a Genova per la sua missione pastorale. Tuttavia per sfuggire alle invasioni longobarde ritornò nella terra natale ove si rifugiò, in penitenza, in una grotta nell’entroterra sanremese. Ogni volta che vi erano attacchi da nemici, carestie, calamità varie, i matuziani si recavano in pellegrinaggio presso la grotta dove viveva Romolo, pregando e chiedendo la protezione del Signore. Alla sua morte, il suo corpo fu sepolto nella città, ai piedi di un piccolo altare usato per le prime celebrazioni cristiane, e qui venerato per molti anni.

Intorno al 930 il suo corpo fu traslato a Genova, per il timore delle numerose scorribande saracene, e venne sepolto nella Cattedrale di S. Lorenzo. A Villa Matutiæ, nel frattempo, si cominciarono ad attribuire a Romolo numerosi prodigi, soprattutto relativi alla difesa della città dagli attacchi dei Saraceni, tanto che ancora oggi il Santo viene rappresentato vestito da vescovo e con una spada in mano.

L’occasione della traslazione spinse i sanremesi ad edificare, nel luogo di sepoltura originario, una chiesetta (ricostruita nel XII secolo e oggi Insigne Basilica Collegiata Cattedrale). Essa fu consacrata nel 1143 dall’Arcivescovo di Genova il Cardinale Siro de Porcello e dedicata a quel S. Siro che in quello stesso luogo aveva fatto costruire, alcuni secoli prima, il primo altare della città e sotto al quale collocò le spoglie del Beato Ormisda (Sacerdote dell’antica pieve di Villa Matutiæ) evangelizzatore del ponente ligure e suo maestro.

Tanta fu la venerazione per S. Romolo che, all’inizio dell’XI secolo, la cittadinanza decise di cambiare il nome del paese in “civitas Sancti Romuli”. Tuttavia in dialetto locale il nome veniva declinato nel più breve “San Romolo”, pronunciato “San Roemu”, che mutò, poi, intorno al Quattrocento, nella forma attuale “Sanremo”.

La località dove il Santo si era ritirato, ai piedi del Monte Bignone, è ora chiamata “S. Romolo” ed è una frazione della città: la grotta (detta bauma) è stata trasformata in chiesetta, con l’ingresso protetto da una inferriata, e contiene all’interno una statua di S. Romolo morente sopra un altare barocco.

Significato del nome Romolo: dal leggendario fondatore di Roma; “forza” (greco).

San Serafino da Montegranaro


Serafino nasce nel 1540 a Montegranaro (Ascoli Piceno), da Girolamo Rapagnano e da Teodora Giovannuzzi, di umili condizioni, ma cristiani ferventi; era, dunque, povero per cui, per un certo tempo, fece il custode di gregge.

A 18 anni, non senza difficoltà, entrò in convento a Tolentino dove fu accolto come religioso fratello nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini ; fece, quindi, il noviziato a Jesi.
Peregrinò per tutti i conventi delle Marche, perché, nonostante la buona volontà e la massima diligenza che poneva nel fare le cose, non riusciva ad accontentare né superiori, né confratelli, che non gli risparmiarono rimproveri. Egli, però, dimostrava sempre tanta bontà, povertà, umiltà, purezza e mortificazione.

Nel 1590 Serafino si stabiliva ad Ascoli Piceno. La città si affezionò talmente a lui che nel 1602, essendosi diffusa la notizia di un suo trasferimento, le autorità scrissero ai superiori per evitarlo.
Vero messaggero di pace e di bene, esercitava un influsso grandissimo presso tutti i ceti; la sua parola riusciva a comporre situazioni allarmanti, ad estinguere odi inveterati, ad infervorare alla virtù.
Preghiera, umiltà, penitenza, lavoro e pazienza, tanta pazienza, perché i rimproveri per lui erano sempre abbondanti. Dio si incaricò di aiutarlo supplendo alle sue capacità, in cucina, alla porta, nell’orto, alla questua: con i miracoli, l’introspezione dei cuori, il dono di saper confortare tutti in maniera inimitabile.

Aveva 64 anni e già la fama della sua santità si diffondeva per Ascoli, quando, egli stesso, chiese con insistenza il viatico allorché nessuno credeva alla sua prossima fine.
La morte lo coglie il 12 ottobre 1604. Dopo essere spirato, semplice anche nella morte, la voce del popolo che lo diceva santo, giunse anche alle orecchie del Papa Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621) che autorizzò l’accensione di una lampada sulla sua tomba.

Fu canonizzato da Papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1758-1769) il 16 luglio 1767.

Significato del nome Serafino : «angelo ardente, bruciante (di amore)» (ebraico).

San Giovanni XXIII il “Papa Buono”

Considerata la straordinarietà di questi Sommi Pontefici nell’offrire al clero e ai fedeli un singolare modello di virtù e nel promuovere la vita in Cristo, tenendo conto delle innumerevoli richieste da ogni parte del mondo, il Santo Padre Francesco, facendo suoi gli unanimi desideri del popolo di Dio, ha dato disposizione che le celebrazioni di S. Giovanni XXIII, papa, e di S. Giovanni Paolo II, papa, siano iscritte nel Calendario Romano generale, la prima l’11, la seconda il 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa.
(Città del Vaticano, 11 Settembre 2014 – Zenit.org)

G
iovanni XXIII nasce a Brusicco, frazione di Sotto il Monte (BG), il 25 novembre 1881, da Giovanni Battista Roncalli e Marianna Mazzola; venne battezzato la sera stessa, ricevendo il nome di Angelo Giuseppe. A differenza del suo predecessore, Eugenio Pacelli, che era di stirpe nobile, la sua famiglia è di umili origini: i suoi parenti lavoravano infatti come mezzadri. Questo non gli impedì, grazie all’aiuto economico di uno zio, di studiare presso il seminario minore di Bergamo, per poi vincere una borsa di studio e trasferirsi al Seminario dell’Apollinare di Roma, l’attuale Pontificio Seminario Romano Maggiore, ove completò brillantemente gli studi e fu ordinato prete nella chiesa di Santa Maria in Monte Santo, in Piazza del Popolo, nel 1905; fu scelto, nello stesso anno, dal nuovo vescovo di Bergamo, Giacomo Radini-Tedeschi, quale segretario personale.
Nel 1921 Pp Benedetto XV (Giacomo della Chiesa, 1914-1922) lo nominò prelato domestico (che gli valeva l’appellativo di monsignore) e presidente del Consiglio Nazionale Italiano dell’Opera della Propagazione della Fede.
Nel 1925 Pp Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) lo nominò Visitatore Apostolico in Bulgaria, elevandolo al grado di vescovo e affidandogli il titolo della diocesi di Aeropolis (Palestina).
Nel 1935 fu nominato Delegato Apostolico in Turchia e Grecia : questo periodo della vita, che coincise con la seconda guerra mondiale, è ricordato in particolare per i suoi interventi a favore degli ebrei in fuga dagli stati europei occupati dai nazisti.
Nel 1944, il Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) lo nominò Nunzio Apostolico a Parigi. Fra i suoi maggiori successi a Parigi si segnalò la riduzione del numero di vescovi di cui il governo francese reclamava l’epurazione in quanto compromessi con la Francia di Vichy.
Coerentemente al suo stile di obbedienza, accettò prontamente la proposta di trasferimento alla sede di Venezia ove giunse il 5 marzo 1953, fresco della nomina cardinalizia decisa nell’ultimo Concistoro di Pio XII.

A seguito della morte di Pio XII, con sua grande sorpresa, fu eletto Papa il 28 ottobre 1958 e il 4 novembre dello stesso anno fu incoronato, divenendo così il 261º Vicario di Gesù Cristo sulla Terra. Secondo alcuni analisti sarebbe stato scelto principalmente per un’unica ragione: la sua età. Dopo il lungo pontificato del suo predecessore, i cardinali avrebbero perciò scelto un uomo che presumevano, per via della sua età avanzata e della modestia personale, sarebbe stato un Papa di transizione. Ciò che giunse inaspettato fu il fatto che il calore umano, il buon umore e la gentilezza di Pp Giovanni XXIII, oltre alla sua esperienza diplomatica, conquistarono l’affetto di tutto il mondo cattolico, in un modo che i suoi predecessori non avevano mai ottenuto. Fin dal momento della scelta del nome (“Vocabor Johannes…” mi chiamerò Giovanni, esordì appena eletto) molti cardinali si accorsero che Roncalli non era ciò che loro si aspettavano, infatti Giovanni era un nome che nessun papa adottava da secoli (nel 900 quasi tutti i papi si erano chiamati Pio, e questo è ciò che molti si aspettavano), inoltre nella storia c’era stato un antipapa di nome Giovanni XXIII.
Per il primo Natale da papa visitò i bambini malati dell’ospedale romano Bambin Gesù, ove con intima e contagiosa dolcezza benedisse i piccoli, alcuni dei quali lo avevano scambiato per Babbo Natale.
Il giorno di santo Stefano sempre del suo primo anno di pontificato, il 26 dicembre 1958, visitò i carcerati nella prigione romana di Regina Coeli, dicendo loro: « Non potete venire da me, così io vengo da voi…Dunque eccomi qua, sono venuto, m’avete visto; io ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore..la prima lettera che scriverete a casa deve portare la notizia che il papa è stato da voi e si impegna a pregare per i vostri familiari ». Memorabilmente, accarezzò il capo del recluso che, disperato, inaspettatamente gli si buttò ai piedi domandandogli se “le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me”.
Il radicalismo di Pp Giovanni XXIII non si fermò all’informalità. Fra lo stupore dei suoi consiglieri e vincendo le remore e le resistenze della parte conservatrice della Curia, indisse un concilio ecumenico; mentre i suoi aiutanti stimavano di dover impiegare almeno un decennio per i preparativi, Giovanni XXIII progettò di tenerlo nel giro di mesi.
Il 4 ottobre 1962, ad una settimana dall’inizio del concilio, Giovanni XXIII si recò in pellegrinaggio a Loreto e Assisi (era dall’età di 14 anni terziario francescano) per affidare le sorti dell’imminente Concilio alla Madonna e a S. Francesco.

Uno dei più celebri discorsi di Pp Giovanni, forse una delle allocuzioni in assoluto più celebri della storia della Chiesa, è quello che ormai si conosce come il “discorso della luna”.
L’11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio, piazza San Pietro era gremita di fedeli che, se pur non comprendendo a fondo il valore teologico dell’avvenimento, ne percepivano la storicità, la fondamentalità, la difficoltà, ed erano nel luogo che simboleggia il cattolicesimo: la piazza appunto. A gran voce chiamato ad affacciarsi, cosa che non si sarebbe mai immaginata possibile richiedere al papa precedente, Pp Giovanni XIII davvero si sporse a condividere, con la piazza, la soddisfazione per il raggiungimento del primo traguardo: si era arrivati ad aprirlo, il Concilio. Il discorso a braccio fu poetico, dolce, semplice, e pur tuttavia conteneva elementi del tutto innovativi. Nel momento che avrebbe dato un nuovo corso alla religione cattolica, con un richiamo straordinario salutò la luna: >>> Discorso della Luna « Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera, a guardare a questo spettacolo, che neppure la Basilica di San Pietro, che ha quattro secoli di storia, non ha mai potuto contemplare. La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e fraternità e grazia di Dio, facciamo onore alle impressioni di questa sera, che siano sempre i nostri sentimenti, come ora li esprimiamo davanti al Cielo, e davanti alla Terra: Fede, Speranza, Carità, Amore di Dio, Amore dei Fratelli. E poi tutti insieme, aiutati così, nella santa pace del Signore, alle opere del Bene. Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza. »
Il Papa ora viveva con la piazza dei fedeli, ne condivideva la serata di fine estate, ne partecipava la sofferenza e la “meraviglia” per quella luna inattesa; la Chiesa era davvero molto più comunitaria di quanto non fosse mai stata in passato. I fedeli avevano il Papa fra loro, con loro. Proprio ciò per cui il Concilio era stato voluto.
Sin dal settembre 1962, prima ancora dunque dell’apertura del Concilio, si erano manifestate le avvisaglie della malattia fatale: un tumore dello stomaco, patologia che aveva già colpito altri fratelli Roncalli. Pur visibilmente provato dal progredire del cancro, Pp Giovanni firmò l’11 aprile 1963 l’enciclica >>> Pacem in Terris e, un mese più tardi, l’11 maggio 1963, ricevette dal Presidente della Repubblica italiana, Antonio Segni, il premio “Balzan” per il suo impegno in favore della pace e del suo decisivo intervento in occasione della grave crisi di Cuba nell’autunno del 1962. Fu il suo ultimo impegno pubblico. Il 23 maggio 1963, solennità dell’Ascensione, si affacciò per l’ultima volta dalla finestra per recitare il Regina Coeli.
Il Papa muore, dopo un’agonia di tre giorni, la sera del 3 giugno 1963, alle 19,49. “Perché piangere? È un momento di gioia questo, un momento di gloria” furono le sue ultime parole rivolte al suo segretario.

Dal Concilio Vaticano II, che Pp Giovanni XXIII non vide dunque terminare, si sarebbero prodotti, negli anni successivi, fondamentali cambiamenti che avrebbero dato una nuova connotazione al cattolicesimo moderno; gli effetti più immediatamente visibili consistettero nella riforma liturgica, in un nuovo ecumenismo e infine in un nuovo approccio al mondo e alla modernità.

Giovanni XXIII, chiamato affettuosamente da molti il “Papa buono”, venne innalzato agli onori dell’altare, da San Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il 3 settembre 2000.

Il giorno 27 aprile 2014 Sua Santità Papa Francesco ha proclamato Santi i suoi predecessori Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Un momento di gioia e di preghiera per gli 800.000 e più fedeli che da tutto il mondo hanno affluito in piazza San Pietro, ma anche l’inizio di un viaggio eterno nella gloria della Chiesa Cattolica.

San Bruno Sacerdote e monaco Fondatore dei Certosini


Bruno nasce a Colonia nel 1030. Ancora giovane andò a Reims, dove fin dal 1057 il vescovo Gervasio gli affidò la direzione della scuola di cui era stato allievo.

Nel 1076 lasciò i suoi incarichi nella scuola e nella cancelleria e fu costretto a cercare rifugio presso il conte Ebal di Roucy, a causa del dissidio col vescovo Manasse di Gournay, che lui aveva accusato di simonia (pratica di vendere e comprare cose religiose come cariche ecclesiastiche, assoluzione di peccati e indulgenze). Poté tornare in Francia solo nel 1080 quando Manasse fu deposto da apposito concilio.

In quegli anni difficili nacque la sua vocazione alla vita monastica; in una lettera Bruno racconta quell’inizio fervoroso. Egli e due suoi amici, accesi d’amor divino, nel giardino di un certo Adamo, avevano fatto voto di consacrarsi a Dio. Rientrato in Francia, si recò all’eremo di Molesme, sotto la guida di San Roberto.
Successivamente, con sei compagni, cercò un luogo solitario per erigervi un suo monastero, ottenendo il terreno necessario dal vescovo di Grenoble, Ugo di Châteauneuf, in una valle solitaria nel cuore del massiccio che all’epoca si chiamava Cartusia (donde il nome italiano di Certosa e francese di Chartreuse) nel Delfinato.

Il primo monastero fu fondato nell’estate dell’anno 1084, in una zona montana e boschiva, a 1175 m di altitudine. I lavori di costruzione cominciarono subito e proseguirono rapidamente.
La chiesa fu l’unico edificio in pietra: condizione indispensabile per la sua consacrazione, che avvenne il 2 settembre 1085 per il ministero del vescovo Ugo.
Ma sei anni dopo il Beato Urbano II (Ottone di Lagery, 1088-1099), già suo alunno alla scuola di Reims, lo convocò a Roma, al servizio della Santa Sede. Bruno non poteva declinare l’invito del Papa e dovette quindi abbandonare il deserto e i compagni.
Quando Bruno obbedì alla chiamata del Papa, previde che la sua giovane comunità di Certosa avrebbe sofferto molto del suo allontanamento, ed infatti i suoi confratelli, reputando di non poter continuare, senza la sua guida, la vita che con lui avevano abbracciata, si dispersero.
Bruno da Roma riuscì tuttavia a convincerli a riprendere la via del deserto e sotto la direzione di Landuino, da lui indicato come superiore, il gruppo si riunì di nuovo nell’eremo abbandonato.
Ma l’anima di Bruno, ormai abituata alla preghiera solitaria e al colloquio continuo con il Signore, non si trovò a suo agio nell’ambiente della corte pontificia dell’epoca. Su proposta del Pp Urbano, i canonici di Reggio Calabria lo elessero arcivescovo ma egli declinò la mitra per amore della sua vocazione contemplativa e con il desiderio di ritrovare al più presto la solitudine.

Il conte Ruggero gli offrì un territorio nella località chiamata Torre, a circa 850 metri di altitudine, nel cuore della Calabria; ivi Bruno fondò l’eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di 2 km più a valle – ove sorge l’attuale Certosa – fondava per i fratelli conversi il monastero di Santo Stefano.
Bruno, riprendendo il genere di vita che aveva condotto in Francia, trascorse così, nell’eremo di Santa Maria e nella vita contemplativa in solitudine, gli ultimi dieci anni della sua esistenza.
Avvenne in questo periodo una memorabile visita: l’incontro di Bruno con Landuino, il suo successore nel governo della comunità della Certosa francese, che intraprese un lungo e faticoso viaggio per incontrarsi con il fondatore dei certosini.

Nel giugno 1101 morì il conte Ruggero, assistito da Bruno.
Poco tempo dopo, la domenica 6 ottobre dello stesso anno, muore pure Bruno, circondato dai confratelli accorsi dalle case dipendenti da Santa Maria del Bosco.

Papa Leone X (Giovanni de’ Medici, 1513-1521) autorizzò, il 19 luglio 1514, il culto di S. Bruno, con una sentenza orale (vivae vocis oraculo); il 17 febbraio 1623 Pp Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, 1621-1623) ne estese il culto alla Chiesa universale fissando la memoria liturgica al 6 ottobre (dies natalis).

Santa Faustina Kowalska, Vergine Apostola della Divina Misericordia


Faustina, l’apostola della Divina Misericordia, appartiene oggi al gruppo dei santi della Chiesa più conosciuti. Attraverso di lei il Signore manda al mondo il grande messaggio della Misericordia Divina e mostra un esempio di perfezione cristiana basata sulla fiducia in Dio e sull’atteggiamento misericordioso verso il prossimo.

Suor Maria Faustina nasce il 25 agosto 1905, terza di dieci figli, da Marianna e Stanislao Kowalski, contadini del villaggio di Głogowiec. Al battesimo nella chiesa parrocchiale di Świnice Warckie le fu dato il nome di Elena. Fin dall’infanzia si distinse per l’amore alla preghiera, per la laboriosità, per l’obbedienza e per una grande sensibilità alla povertà umana. All’età di nove anni ricevette la Prima Comunione; fu per lei un’esperienza profonda perché ebbe subito la consapevolezza della presenza dell’Ospite Divino nella sua anima. Frequentò la scuola per appena tre anni scarsi. Ancora adolescente abbandonò la casa dei genitori e andò a servizio presso alcune famiglie benestanti di Aleksandrów, Łódź e Ostrówek, per mantenersi e per aiutare i genitori.
Fin dal settimo anno di vita sentiva nella sua anima la vocazione religiosa, ma non avendo il consenso dei genitori per entrare in convento, cercava di sopprimerla. Sollecitata poi da una visione di Cristo sofferente, partì per Varsavia dove il 1 agosto del 1925 entrò nel convento delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia. Col nome di Suor Maria Faustina trascorse in convento tredici anni nelle diverse case della Congregazione, soprattutto a Cracovia, Vilno e Płock, lavorando come cuoca, giardiniera e portinaia.
All’esterno nessun segno faceva sospettare la sua vita mistica straordinariamente ricca. Svolgeva con diligenza tutti i lavori, osservava fedelmente le regole religiose, era concentrata, silenziosa e nello stesso tempo piena di amore benevolo e disinteressato. La sua vita apparentemente ordinaria, monotona e grigia nascondeva in sé una profonda e straordinaria unione con Dio.
Alla base della sua spiritualità si trova il mistero della Misericordia Divina che essa meditava nella parola di Dio e contemplava nella quotidianità della sua vita. La conoscenza e la contemplazione del mistero della Misericordia di Dio sviluppavano in lei un atteggiamento di fiducia filiale in Dio e di misericordia verso il prossimo. Scriveva: “O mio Gesù, ognuno dei Tuoi santi rispecchia in sé una delle Tue virtù; io desidero rispecchiare il Tuo Cuore compassionevole e pieno di misericordia, voglio glorificarlo. La Tua misericordia, o Gesù, sia impressa sul mio cuore e sulla mia anima come un sigillo e ciò sarà il mio segno distintivo in questa e nell’altra vita.” (Q. IV, 7).
Suor Maria Faustina fu una figlia fedele della Chiesa, che essa amava come Madre e come Corpo Mistico di Cristo. Consapevole del suo ruolo nella Chiesa, collaborava con la Misericordia Divina nell’opera della salvezza delle anime perdute. Rispondendo al desiderio e all’esempio di Gesù offriva la sua vita in sacrificio. La sua vita spirituale si caratterizzava inoltre per l’amore all’Eucarestia e per una profonda devozione alla Madre di Dio della Misericordia.

Gli anni della sua vita religiosa abbondarono di grazie straordinarie: le rivelazioni, le visioni, le stigmate nascoste, la partecipazione alla passione del Signore, il dono dell’ubiquità, il dono di leggere nelle anime umane, il dono della profezia e il raro dono del fidanzamento e dello sposalizio mistico. Il contatto vivo con Dio, con la Madonna, con gli angeli, con i santi, con le anime del purgatorio, con tutto il mondo soprannaturale fu per lei non meno reale e concreto di quello che sperimentava con i sensi. Malgrado il dono di tante grazie straordinarie era consapevole che non sono esse a costituire l’essenza della santità. Scriveva nel Diario: “Né le grazie, né le rivelazioni, né le estasi, né alcun altro dono ad essa elargitola rendono perfetta, ma l’unione intima della mia anima con Dio. I doni sono soltanto un ornamento dell’anima, ma non ne costituiscono la sostanza né la perfezione. La mia santità e perfezione consiste in una stretta unione della mia volontà con la volontà di Dio.”(Q. III, 28).
Il Signore scelse Suor Maria Faustina come segretaria e apostola della sua misericordia per trasmettere, mediante lei, un grande messaggio al mondo. “Nell’Antico Testamento mandai al Mio popolo i profeti con i fulmini. Oggi mando te a tutta l’umanità con la Mia misericordia. Non voglio punire l’umanità sofferente, ma desidero guarirla e stringerla al Mio Cuore misericordioso.”(Q.V,155).

La missione di Suor Maria Faustina consisteva in tre compiti:

1. Avvicinare e proclamare al mondo la verità rivelata nella Sacra Scrittura sulla Misericordia di Dio per ogni uomo.
2. Implorare la Misericordia Divina per tutto il mondo, soprattutto per i peccatori, in particolar modo con le nuove forme di culto della Divina Misericordia indicate da Gesù: l’immagine di Cristo con la scritta: Gesù confido in Te, la festa della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua, la Coroncina della Divina Misericordia e la preghiera nell’ora della Divina Misericordia (ore 15). A queste forme di culto e anche alla diffusione dell’adorazione della Misericordia il Signore allegava grandi promesse a condizione dell’affidamento a Dio e della prassi dell’amore attivo per il prossimo.
3. Ispirare un movimento apostolico della Divina Misericordia con il compito di proclamare e implorare la Misericordia Divina per il mondo e di aspirare alla perfezione cristiana sulla via indicata da Suor Maria Faustina. Si tratta della via che prescrive un atteggia-mento di fiducia filiale, l’adempimento della volontà di Dio e un atteggiamento di misericordia verso il prossimo.

Oggi questo movimento riunisce nella Chiesa milioni di persone di tutto il mondo: le congregazioni religiose, gli istituti secolari, i sacerdoti, le confraternite, le associazioni, le diverse comunità degli apostoli della Divina Misericordia e le persone singole che intraprendono i compiti che il Signore ha trasmesso a Suor Maria Faustina.
La missione di Suor Maria Faustina è stata descritta nel Diario che lei redigeva seguendo il desiderio di Gesù e i suggerimenti dei padri confessori, annotando fedelmente tutte le parole di Gesù e rivelando il contatto della sua anima con Lui. Il Signore diceva a Faustina: “Segretaria del Mio mistero più profondo, … il tuo compito più profondo è di scrivere tutto ciò che ti faccio conoscere sulla Mia misericordia, per il bene delle anime che leggendo questi scritti proveranno un conforto interiore e saranno incoraggiate ad avvicinarsi a Me”(Q. VI, 67). Quest’opera infatti avvicina in modo straordinario il mistero della Misericordia Divina.
Il Diario affascina non soltanto la gente comune ma anche i ricercatori che scoprono in esso una fonte supplementare per le loro ricerche teologiche.
Il Diario è stato tradotto in varie lingue, tra cui inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo, portoghese, russo, ceco, slovacco e arabo.

Suor Maria Faustina, distrutta dalla malattia e dalle varie sofferenze che sopportava volentieri come sacrificio per i peccatori, nella pienezza della maturità spirituale e misticamente unita a Dio, muore a Cracovia il 5 ottobre 1938 all’età di appena 33 anni.
La fama della santità della sua vita crebbe insieme alla diffusione del culto alla Divina Misericordia sulla scia delle grazie ottenute tramite la sua intercessione.
Negli anni 1965-67 si svolse a Cracovia il processo informativo relativo alla sua vita e alle sue virtù e nel 1968 iniziò a Roma il processo di beatificazione che si concluse nel dicembre del 1992.

Suor Faustina fu beatificata, in piazza S. Pietro a Roma, il 18 aprile 1993 e dichiarata santa, il 30 aprile 2000, da San Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) che, in quell’occasione, stabilì, per la prima volta, la Festa della Divina Misericordia, da celebrarsi ogni anno nella prima domenica dopo Pasqua.
Le reliquie di S. Faustina si trovano nel santuario della Divina Misericordia a Cracovia-Łagiewniki ma, parte di esse, sono sparse nel mondo intero.
Per Saperne di più:
>>> Omelia del Santo Padre

Fonti principali: festadelladivinamisericordia.com; vatican.va; wikipedia.org (“RIV./gpm”).

La Coroncina alla Divina Misericordia:

(Per la recita si usa una normale corona del rosario)

Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Si inizia con: il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Credo.

Credo:

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Sui (5) grani maggiori del rosario si dice:

Eterno Padre, io Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio e Signore Nostro, Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli di tutto il mondo.

Sui (50) grani minori del rosario si dice:

Per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero.

Alla fine si dice per tre volte:

Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.

Per terminare si dice:

O Sangue ed Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in te!

Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Le Promesse di Gesù Misericordioso

“Con questa coroncina otterrai qualsiasi grazia, se quello che chiedi è conforme alla Mia volontà.

La Mia Misericordia avvolgerà in vita e specialmente nell’ora della morte le anime che reciteranno questa coroncina.

I sacerdoti la raccomandino a chi vive nel peccato come una tavola di salvezza.

Se verrà recitata accanto a un moribondo, Mi metterò fra il Padre e l’anima agonizzante non come giusto Giudice, ma come Salvatore Misericordioso.”

L’ora della Misericordia

Gesù ha raccomandato di recitare la coroncina nell’ora della Sua morte, ossia le 3 del pomeriggio, che Lui stesso ha chiamato un’ora di grande misericordia per il mondo intero.

“In quell’ora, dice Gesù, non rifiuterò nulla all’anima che Mi prega per la Mia Passione”.

L’immagine di Gesù Misericordioso

“L’anima che venererà questa immagine non perirà, già su questa terra Prometto la vittoria sui suoi nemici e sarà difesa come Mia gloria nell’ora della morte.”

La Festa della Divina Misericordia

L’anima che la prima domenica dopo Pasqua si confesserà e riceverà degnamente la santa comunione, dopo aver fatto per 9 giorni, a partire dal Venerdì Santo, una novena usando la Coroncina alla Divina Misericordia, riceverà la grande grazia della remissione totale di tutte le pene e dei castighi.

La diffusione del culto della Divina Misericordia

A tutti sono dirette due promesse, la prima riguarda la protezione materna in tutta la vita e la seconda riguarda l’ora della morte:

“Tutte le anime che adoreranno la Mia misericordia e ne diffonderanno il culto, queste anime nell’ora della morte non avranno paura, la Mia misericordia le proteggerà in quell’ultima lotta”.

San Francesco d’Assisi Patrono d’Italia


Francesco d’Assisi è il personaggio più celebre di tutta l’agiografia cristiana del medioevo e non solo: noto, ammirato ed amato in tutto il mondo, anche in ambienti assai lontani dalla Chiesa cattolica, dalla stessa cultura cristiana e occidentale: per esempio nel lontano Oriente.
A lui si sono ispirati letterati di tutte le tendenze, artisti di tutte le scuole, storici di qualsiasi impostazione; uomini politici e addirittura rivoluzionari, che hanno visto in lui un apostolo della contestazione non violenta e un precursore dell’opposizione contro il materialismo e il consumismo.
Francesco, “il poverello di Assisi”, in effetti era figlio di ricchi, nasce ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi e dalla nobile Giovanna Bourlemont detta “la Pica”, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi, che, grazie all’attività commerciale, aveva raggiunto ricchezza e benessere.
In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa paterna e, in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza (F), lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo.

Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, che si teneva nella chiesa di S. Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l’attuale basilica di S. Chiara), a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all’attività del commercio.

Condusse da giovane una vita spensierata e mondana; partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, e venne tenuto prigioniero per più di un anno, durante il quale patì per una grave malattia che lo avrebbe indotto a mutare radicalmente lo stile di vita: tornato ad Assisi nel 1205, Francesco si dedicò infatti ad opere di carità tra i lebbrosi e cominciò a impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina, dopo aver avuto una visione di S. Damiano d’Assisi che gli ordinava di restaurare la chiesa a lui dedicata.

Il padre di Francesco, adirato per i mutamenti nella personalità del figlio e per le sue cospicue offerte, lo diseredò; Francesco si spogliò allora dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi, eletto da Francesco arbitro della loro controversia. Dedicò i tre anni seguenti alla cura dei poveri e dei lebbrosi nei boschi del monte Subasio.

Nella cappella di S. Maria degli Angeli, nel 1208, un giorno, durante la Messa, ricevette l’invito a uscire nel mondo e, secondo il testo del Vangelo di Matteo (10,5-14), a privarsi di tutto per fare del bene ovunque. Tornato ad Assisi l’anno stesso, Francesco iniziò la sua predicazione, raggruppando intorno a sé dodici seguaci che divennero i primi confratelli del suo ordine (poi denominato primo ordine) ed elessero Francesco loro superiore, scegliendo la loro prima sede nella chiesetta della Porziuncola.

Nel 1210 l’ordine venne riconosciuto da Pp Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni, 1198-1216); nel 1212 anche Chiara d’Assisi prese l’abito monastico, istituendo il secondo ordine francescano, detto delle Clarisse.
Intorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, ed altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva fare proseliti tra i mori.

Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo, poi si recò in Terra Santa, rimanendovi fino al 1220; al suo ritorno, trovò dissenso tra i frati e si dimise dall’incarico di superiore, dedicandosi a quello che sarebbe stato il terzo ordine dei francescani, i terziari.

Ritiratosi sul monte della Verna nel settembre 1224, dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione, sul cui aspetto, tuttavia, le fonti non concordano.

Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell’amore per Dio e per la creazione espresso nel Cantico di frate Sole, probabilmente composto ad Assisi nel 1225; in esso il Sole e la natura sono lodati come fratelli e sorelle, ed è contenuto l’episodio in cui il santo predica agli uccelli.
Nel settembre 1226 Francesco si trovava ad Assisi, nel palazzo del vescovo, dove era stato portato per essere meglio curato. Egli, però, chiese ed ottenne di voler morire nel suo “luogo santo” preferito: la Porziuncola. Qui “sora nostra Morte corporale” lo coglie, in serena letizia, all’età di 44 anni, la sera del 3 ottobre 1226.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in S. Damiano, per essere mostrato un’ultima volta a Chiara ed alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di S. Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell’attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).

Nel suo Testamento scritto poco prima di morire, Francesco annotò: « Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo ». E Francesco, avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.

Il 16 luglio 1228, a meno di due anni dalla sua morte, Francesco venne canonizzato da Pp Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Segni, 1227-1241).
Il 4 ottobre viene celebrata la memoria liturgica in tutta la chiesa cattolica; festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana.

L’Ordine francescano comprende anche il ramo femminile, le Clarisse e il Terz’Ordine dei laici o Terziari francescani, fondati dallo stesso S. Francesco nel 1221, per raccogliere i numerosi seguaci già sposati e di ogni ordine sociale. L’Ordine, ai cui membri dei diversi rami, Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci, 1878-1903), nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori, è tra i più importanti della Chiesa. Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, essi furono e sono dediti alla predicazione, ad un apostolato di tipo sociale in luoghi di cura, e soprattutto all’opera missionaria.

Significato del nome Francesco : “uomo libero” (antico tedesco).

San Francisco de Borja y Aragón


Francesco nasce a Gandia (Valencia, Spagna) il 28 ottobre 1510 nella famosa famiglia Borgia. Suo padre era Juan de Borja y Enriquez e suo nonno paterno, Giovanni Borgia, secondo duca di Gandia, era uno dei figli di papa Alessandro VI; il nonno materno era l’arcivescovo di Saragozza Alfonso, figlio naturale del re Ferdinando II di Aragona.

Crebbe a Saragozza e all’età di dodici anni fu inviato come paggio a Tordesillas; qui assisteva la regina Giovanna la Pazza, che, dopo la scomparsa del marito, si era ivi ritirata insieme alla figlia, l’infanta Caterina. Dal 1528 fu a Valladolid presso Carlo V: entrò presto nelle grazie dell’imperatrice Isabella, che lo nominò marchese di Lombay e lo fece sposare con Eleonora de Castro, da cui ebbe otto figli.

Nel maggio 1538 l’imperatrice Isabella morì ed egli fu profondamente colpito dall’orazione pronunciata da S. Juan d’Ávila (1499-1569) durantela funzione funebre. Da quel momento principiò un cammino di maggiore accostamento alla fede cattolica e alla vita evangelica; cominciò a dedicarsi allo studio della teologia, ottenendo il dottorato. Il 26 giugno 1539 fu nominato viceré di Catalogna.

Nel 1546 sua moglie morì, ed egli si pose sotto la direzione spirituale dei padri gesuiti. Il 1º febbraio 1548 emise i voti solenni ed entrò nella Compagnia di Gesù, ma ottenne una particolare dispensa per restare nel secolo fino a quando non avesse assolto i suoi doveri di genitore.
Il 23 ottobre 1550 raggiunse Roma, dove venne ordinato sacerdote e divenne uno dei principali collaboratori di S. Ignazio di Loyola (1491-1556). Contribuì con una grande somma di denaro all’istituzione del “Collegio romano”, l’attuale “Università Gregoriana”, e fu incaricato di controllare la diffusione dell’Ordine nella penisola Iberica.

Il 10 giugno 1554 fu nominato “Commissario generale” in Spagna.
Richiamato da Pio IV, nel 1561 tornò a Roma, dove strinse amicizia con i cardinali Michele Ghislieri e Carlo Borromeo e, il 20 gennaio 1565, venne nominato “Vicario Generale” della Compagnia. Fu anche nominato esecutore testamentario di Carlo V.

Il 2 luglio 1565 venne eletto “Preposito Generale” della Compagnia di Gesù, succedendo a Diego Laínez. Diede un grande impulso all’attività missionaria dell’Ordine in India, Brasile e Giappone. Per quanto riguarda la formazione spirituale e intellettuale dei giovani religiosi, emanò nuove regole sui costumi e gli studi dei novizi, per loro fece costruire la “Casa” e la Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale.
Sotto il pontificato di San Pio V (Antonio Michele Ghislieri, 1566-1572) fu incaricato di assistere il “Cardinal Nepote”, Michele Bonelli, nelle sue missioni diplomatiche, ma questi viaggi furono fatali per la sua salute cagionevole: muore a Roma il 30 settembre 1572.

Francisco de Borja è stato beatificato il 23 novembre 1624 da Papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1923-1944) e proclamato santo il 20 giugno 1671da Papa Clemente X (Emilio Altieri, 1670-1676).

SS. Angeli Custodi

Il nuovo Calendario universale della Chiesa ha conservato, a questa data, non la festa, ma la memoria degli Angeli Custodi. Un tempo questa festa veniva celebrata il 29 settembre, insieme con quella di San Michele, custode e protettore per eccellenza. Tre giorni fa, infatti, si è celebrata la festa dei tre Arcangeli : Michele, Gabriele e Raffaele.
L’uso di una festa particolare dedicata agli Angeli Custodi si diffuse nella Spagna nel IV sec., e nel secolo successivo in Portogallo, più tardi ancora in Austria. Nel 1670, Pp Clemente X (Emilio Altieri, 1670-1676) ne fissò la data al 2 ottobre.

La devozione per gli Angeli è più antica di quella per i Santi: prese particolare importanza nel Medioevo quando i monaci solitari ricercarono la compagnia di queste invisibili creature e le sentirono presenti nella loro vita di silenzioso raccoglimento.
Dopo il concilio di Trento, la devozione per gli Angeli fu meglio definita e conobbe nuova diffusione. Nella vita attuale, però, gli uomini trascurano sempre di più la propria angelica compagnia, e non avvertono, ormai, la presenza di un puro spirito, testimone costante dei pensieri e delle azioni umane.
Di solito si parla dell’Angelo Custode soltanto ai bambini; gli adulti, invece, dimenticano facilmente il loro consigliere, il loro invisibile compagno di viaggio, il testimone della loro vita. E anche questo aumenta il senso della desolazione e addirittura dell’angoscia che caratterizza il nostro tempo, nel quale si sono lasciate cadere, come infantili fantasie, tante consolanti e sostenitrici verità di fede.
È infatti, verità di fede che ogni cristiano, dal Battesimo, riceve il proprio Angelo Custode, che lo accompagna, lo ispira e lo guida, per tutta la vita, fino alla morte. « Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi » (Sal 90, 11).
Ci sono tante esperienze di santi. Chi non ricorda S. Gemma Galgani, ad esempio, cui l’angelo custode le faceva addirittura da portalettere? E più vicino a noi Padre Pio?

Qui di seguito ci sono 3 delle innumerevoli manifestazioni di angeli custodi, in correlazione con Padre Pio, rilevate sul sito >>> Padrepio…

1. Un italo-americano residente in California, incaricava spesso il suo Angelo Custode di riferire a Padre Pio ciò che riteneva utile fargli sapere. Un giorno, dopo la confessione, chiese al Padre se sentiva veramente quello che gli diceva tramite l’angelo. “E che” – rispose Padre Pio – “mi credi sordo?” E Padre Pio gli ripeté quello che pochi giorni prima gli aveva fatto sapere tramite il suo Angelo.
2. Padre Lino raccontava. Stavo pregando il mio Angelo Custode perché intervenisse presso Padre Pio a favore di una signora che stava molto male, ma mi sembrava che le cose non mutassero affatto. «Padre Pio, ho pregato il mio Angelo Custode perché le raccomandasse quella signora – gli dissi appena lo vidi – è possibile che non l’abbia fatto? – “E cosa credi, che sia disobbediente come me e come te?”»
3. Padre Eusebio raccontava. Stavo andando a Londra in aereo, contro il consiglio di Padre Pio che non voleva che usassi questo mezzo di trasporto. Mentre sorvolavamo il canale della Manica una violenta tempesta mise l’aereo in pericolo. Tra il terrore generale recitai l’atto di dolore e, non sapendo cosa altro fare, mandai a Padre Pio l’Angelo Custode. Tornato a San Giovanni Rotondo andai dal Padre. “Guagliò”- mi disse – “Come stai? È andato tutto bene?” – “Padre ci stavo rimettendo la pelle” – “E allora perché non obbedisci?” – “Ma le ho mandato l’Angelo Custode…” – “E meno male che è arrivato in tempo!”
Più che utile, è necessario affidarsi ogni giorno, fin dal mattino, al proprio Angelo Custode con una delle più belle preghiere dettate dalla Chiesa :
“Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste . Così sia”.