Usa, benedetta da Papa Francesco: 12enne guarisce

Papa Francesco ha compiuto il primo miracolo? La notizia è riportata dai media americani: è stata la Cbs a raccontare la storia di Julia Bruzzese, una 12enne che al settimo anno della St. Bernadette School di Dyker Heights a Brooklyn, cominciò a soffrire di malattia inspiegabile che le fece perdere la sensibilità nelle gambe lo scorso maggio, costringendola alla sedia a rotelle nel giro di appena un mese. Nonostante le sue precarie condizioni fisiche, Julia ha voluto incontrare il Papa al suo arrivo all’aeroporto di New York. “Credeva in un miracolo” ha raccontato al network televisivo newyorkese Cbs. La ragazza era in lacrime dopo aver baciato l’anello del Papa, poi il Pontefice argentino le ha toccato la fronte e l’ha benedetta. Cinque giorni dopo aver incontrato Papa Francesco sulla pista all’aeroporto, la piccola ha avuto la prima buona notizia. “Il miracolo è iniziato – ha raccontato – Sono andato dal medico e per la prima volta i medici hanno riconosciuto la malattia di Lyme. Un miracolo può accadere se credi, proprio come ho fatto”. Un medico ora si è offerto di trattarla gratuitamente dopo aver appreso la sua storia. “Vuol dire che ha intenzione di darmi un miracolo, a camminare di nuovo – ha detto la coraggiosa ragazza – se potrò camminare di nuovo so che è grazie a Papa Francesco”.

Udienza di Papa Francesco del 30 Settembre 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

L’udienza di oggi sarà in due posti: qui in piazza e anche in Aula Paolo VI, dove ci sono tanti ammalati che la seguono sul maxischermo. Visto che il tempo è un po’ brutto abbiamo scelto che loro siano coperti e più tranquilli lì. Uniamoci gli uni gli altri e salutiamoci.

Nei giorni scorsi ho compiuto il viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti d’America. Esso è nato dalla volontà di partecipare all’Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma da tempo a Filadelfia. Questo “nucleo originario” si è allargato ad una visita agli Stati Uniti d’America e alla sede centrale delle Nazioni Unite, e poi anche a Cuba, che è diventata la prima tappa dell’itinerario. Esprimo nuovamente la mia riconoscenza al Presidente Castro, al Presidente Obama e al Segretario Generale Ban Ki-moon per l’accoglienza che mi hanno riservato. Ringrazio di cuore i fratelli Vescovi e tutti i collaboratori per il grande lavoro compiuto e per l’amore alla Chiesa che lo ha animato.

“Misionero de la Misericordia”: così mi sono presentato a Cuba, una terra ricca di bellezza naturale, di cultura e di fede. La misericordia di Dio è più grande di ogni ferita, di ogni conflitto, di ogni ideologia; e con questo sguardo di misericordia ho potuto abbracciare tutto il popolo cubano, in patria e fuori, al di là di ogni divisione. Simbolo di questa unità profonda dell’anima cubana è la Vergine della Carità del Cobre, che proprio cento anni fa è stata proclamata Patrona di Cuba. Mi sono recato pellegrino al Santuario di questa Madre di speranza, Madre che guida nel cammino di giustizia, pace, libertà e riconciliazione.

Ho potuto condividere col popolo cubano la speranza del compiersi della profezia di san Giovanni Paolo II: che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba. Non più chiusure, non più sfruttamento della povertà, ma libertà nella dignità. Questa è la strada che fa vibrare il cuore di tanti giovani cubani: non una strada di evasione, di facili guadagni, ma di responsabilità, di servizio al prossimo, di cura della fragilità. Un cammino che trae forza dalle radici cristiane di quel popolo, che ha tanto sofferto. Un cammino nel quale ho incoraggiato in modo particolare i sacerdoti e tutti i consacrati, gli studenti e le famiglie. Lo Spirito Santo, con l’intercessione di Maria Santissima, faccia crescere i semi che abbiamo gettato.

Da Cuba agli Stati Uniti d’America: è stato un passaggio emblematico, un ponte che grazie a Dio si sta ricostruendo. Dio sempre vuole costruire ponti; siamo noi che costruiamo muri! E i muri crollano, sempre!

E negli Stati Uniti ho compiuto tre tappe: Washington, New York e Filadelfia.

A Washington ho incontrato le Autorità politiche, la gente comune, i Vescovi, i sacerdoti e i consacrati, i più poveri ed emarginati. Ho ricordato che la più grande ricchezza di quel Paese e della sua gente sta nel patrimonio spirituale ed etico. E così ho voluto incoraggiare a portare avanti la costruzione sociale nella fedeltà al suo principio fondamentale, che cioè tutti gli uomini sono creati da Dio uguali e dotati di inalienabili diritti, quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità. Questi valori, condivisibili da tutti, trovano nel Vangelo il loro pieno compimento, come ha ben evidenziato la canonizzazione del Padre Junípero Serra, francescano, grande evangelizzatore della California. San Junípero mostra la strada della gioia: andare e condividere con gli altri l’amore di Cristo. Questa è la via del cristiano, ma anche di ogni uomo che ha conosciuto l’amore: non tenerlo per sé ma condividerlo con gli altri. Su questa base religiosa e morale sono nati e cresciuti gli Stati Uniti d’America, e su questa base essi possono continuare ad essere terra di libertà e di accoglienza e cooperare ad un mondo più giusto e fraterno.

A New York ho potuto visitare la Sede centrale dell’ONU e salutare il personale che vi lavora. Ho avuto colloqui con il Segretario Generale e i Presidenti delle ultime Assemblee Generali e del Consiglio di Sicurezza. Parlando ai Rappresentanti delle Nazioni, nella scia dei miei Predecessori, ho rinnovato l’incoraggiamento della Chiesa Cattolica a quella Istituzione e al suo ruolo nella promozione delle sviluppo e della pace, richiamando in particolare la necessità dell’impegno concorde e fattivo per la cura del creato. Ho ribadito anche l’appello a fermare e prevenire le violenze contro le minoranze etniche e religiose e contro le popolazioni civili.

Per la pace e la fraternità abbiamo pregato presso il Memoriale di Ground Zero, insieme con i rappresentanti delle religioni, i parenti di tanti caduti e il popolo di New York, così ricco di varietà culturali. E per la pace e la giustizia ho celebrato l’Eucaristia nel Madison Square Garden.

Sia a Washington che a New York ho potuto incontrare alcune realtà caritative ed educative, emblematiche dell’enorme servizio che le comunità cattoliche – sacerdoti, religiose, religiosi, laici – offrono in questi campi.

Culmine del viaggio è stato l’Incontro delle Famiglie a Filadelfia, dove l’orizzonte si è allargato a tutto il mondo, attraverso il “prisma”, per così dire, della famiglia. La famiglia, cioè l’alleanza feconda tra l’uomo e la donna, è la risposta alla grande sfida del nostro mondo, che è una sfida duplice: la frammentazione e la massificazione, due estremi che convivono e si sostengono a vicenda, e insieme sostengono il modello economico consumistico. La famiglia è la risposta perché è la cellula di una società che equilibra la dimensione personale e quella comunitaria, e che nello stesso tempo può essere il modello di una gestione sostenibile dei beni e delle risorse del creato. La famiglia è il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità. L’umanesimo biblico ci presenta questa icona: la coppia umana, unita e feconda, posta da Dio nel giardino del mondo, per coltivarlo e custodirlo.

Desidero rivolgere un fraterno e caloroso ringraziamento a Mons. Chaput, Arcivescovo di Filadelfia, per il suo impegno, la sua pietà, il suo entusiasmo e il suo grande amore alla famiglia nell’organizzazione di questo evento. A ben vedere, non è un caso ma è provvidenziale che il messaggio, anzi, la testimonianza dell’Incontro Mondiale delle Famiglie sia venuta in questo momento dagli Stati Uniti d’America, cioè dal Paese che nel secolo scorso ha raggiunto il massimo sviluppo economico e tecnologico senza rinnegare le sue radici religiose. Ora queste stesse radici chiedono di ripartire dalla famiglia per ripensare e cambiare il modello di sviluppo, per il bene dell’intera famiglia umana.

Udienza di Papa Francesco del 16 Settembre 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Questa è la nostra riflessione conclusiva sul tema del matrimonio e della famiglia. Siamo alla vigilia di eventi belli e impegnativi, che sono direttamente legati a questo grande tema: l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Filadelfia e il Sinodo dei Vescovi qui a Roma. Entrambi hanno un respiro mondiale, che corrisponde alla dimensione universale del cristianesimo, ma anche alla portata universale di questa comunità umana fondamentale e insostituibile che è appunto la famiglia.

L’attuale passaggio di civiltà appare segnato dagli effetti a lungo termine di una società amministrata dalla tecnocrazia economica. La subordinazione dell’etica alla logica del profitto dispone di mezzi ingenti e di appoggio mediatico enorme. In questo scenario, una nuova alleanza dell’uomo e della donna diventa non solo necessaria, anche strategica per l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro. Questa alleanza deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile! Essa decide l’abitabilità della terra, la trasmissione del sentimento della vita, i legami della memoria e della speranza.

Di questa alleanza, la comunità coniugale-famigliare dell’uomo e della donna è la grammatica generativa, il “nodo d’oro”, potremmo dire. La fede la attinge dalla sapienza della creazione di Dio: che ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a sé stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere “domestico” il mondo. Proprio la famiglia è all’inizio, alla base di questa cultura mondiale che ci salva; ci salva da tanti, tanti attacchi, tante distruzioni, da tante colonizzazioni, come quella del denaro o delle ideologie che minacciano tanto il mondo. La famiglia è la base per difendersi!

Proprio dalla Parola biblica della creazione abbiamo preso la nostra ispirazione fondamentale, nelle nostre brevi meditazioni del mercoledì sulla famiglia. A questa Parola possiamo e dobbiamo nuovamente attingere con ampiezza e profondità. E’ un grande lavoro, quello che ci aspetta, ma anche molto entusiasmante. La creazione di Dio non è una semplice premessa filosofica: è l’orizzonte universale della vita e della fede! Non c’è un disegno divino diverso dalla creazione e dalla sua salvezza. E’ per la salvezza della creatura – di ogni creatura – che Dio si è fatto uomo: «per noi uomini e per la nostra salvezza», come dice il Credo. E Gesù risorto è «primogenito di ogni creatura» (Col 1,15).

Il mondo creato è affidato all’uomo e alla donna: quello che accade tra loro dà l’impronta a tutto. Il loro rifiuto della benedizione di Dio approda fatalmente ad un delirio di onnipotenza che rovina ogni cosa. E’ ciò che chiamiamo “peccato originale”. E tutti veniamo al mondo nell’eredità di questa malattia.

Nonostante ciò, non siamo maledetti, né abbandonati a noi stessi. L’antico racconto del primo amore di Dio per l’uomo e la donna, aveva già pagine scritte col fuoco, a questo riguardo! «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe» (Gn 3,15a). Sono le parole che Dio rivolge al serpente ingannatore, incantatore. Mediante queste parole Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere – se vuole – per ogni generazione. Vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno! Come la Donna dell’Apocalisse, che corre a nascondere il figlio dal Drago. E Dio la protegge (cfr Ap 12,6).

Pensate quale profondità si apre qui! Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio per lei e per la generazione!

La misericordiosa protezione di Dio nei confronti dell’uomo e della donna, in ogni caso, non viene mai meno per entrambi. Non dimentichiamo questo! Il linguaggio simbolico della Bibbia ci dice che prima di allontanarli dal giardino dell’Eden, Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelle e li vestì (cfr Gn 3, 21). Questo gesto di tenerezza significa che anche nelle dolorose conseguenze del nostro peccato, Dio non vuole che rimaniamo nudi e abbandonati al nostro destino di peccatori. Questa tenerezza divina, questa cura per noi, la vediamo incarnata in Gesù di Nazaret, figlio di Dio «nato da donna» (Gal 4,4). E sempre san Paolo dice ancora: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Cristo, nato da donna, da una donna. È la carezza di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri sbagli, sui nostri peccati. Ma Dio ci ama come siamo e vuole portarci avanti con questo progetto, e la donna è quella più forte che porta avanti questo progetto.

La promessa che Dio fa all’uomo e alla donna, all’origine della storia, include tutti gli esseri umani, sino alla fine della storia. Se abbiamo fede sufficiente, le famiglie dei popoli della terra si riconosceranno in questa benedizione. In ogni modo, chiunque si lascia commuovere da questa visione, a qualunque popolo, nazione, religione appartenga, si metta in cammino con noi. Sarà nostro fratello e nostra sorella, senza fare proselitismo. Camminiamo insieme sotto questa benedizione e sotto questo scopo di Dio di farci tutti fratelli nella vita in un mondo che va avanti e che nasce proprio dalla famiglia, dall’unione dell’uomo e la donna.

Dio vi benedica, famiglie di ogni angolo della terra! Dio vi benedica tutti!

Udienza di Papa Francesco del 9 Settembre 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vorrei oggi fermare la nostra attenzione sul legame tra la famiglia e la comunità cristiana. E’ un legame, per così dire, “naturale”, perché la Chiesa è una famiglia spirituale e la famiglia è una piccola Chiesa (cfr Lumen gentium, 9).

La Comunità cristiana è la casa di coloro che credono in Gesù come la fonte della fraternità tra tutti gli uomini. La Chiesa cammina in mezzo ai popoli, nella storia degli uomini e delle donne, dei padri e delle madri, dei figli e delle figlie: questa è la storia che conta per il Signore. I grandi eventi delle potenze mondane si scrivono nei libri di storia, e lì rimangono. Ma la storia degli affetti umani si scrive direttamente nel cuore di Dio; ed è la storia che rimane in eterno. E’ questo il luogo della vita e della fede. La famiglia è il luogo della nostra iniziazione – insostituibile, indelebile – a questa storia. A questa storia di vita piena, che finirà nella contemplazione di Dio per tutta l’eternità nel Cielo, ma incomincia nella famiglia! E per questo è tanto importante la famiglia.

Il Figlio di Dio imparò la storia umana per questa via, e la percorse fino in fondo (cfr Eb 2,18; 5,8). E’ bello ritornare a contemplare Gesù e i segni di questo legame! Egli nacque in una famiglia e lì “imparò il mondo”: una bottega, quattro case, un paesino da niente. Eppure, vivendo per trent’anni questa esperienza, Gesù assimilò la condizione umana, accogliendola nella sua comunione con il Padre e nella sua stessa missione apostolica. Poi, quando lasciò Nazaret e incominciò la vita pubblica, Gesù formò intorno a sé una comunità, una “assemblea”, cioè una con-vocazione di persone. Questo è il significato della parola “chiesa”.

Nei Vangeli, l’assemblea di Gesù ha la forma di una famiglia e di una famiglia ospitale, non di una setta esclusiva, chiusa: vi troviamo Pietro e Giovanni, ma anche l’affamato e l’assetato, lo straniero e il perseguitato, la peccatrice e il pubblicano, i farisei e le folle. E Gesù non cessa di accogliere e di parlare con tutti, anche con chi non si aspetta più di incontrare Dio nella sua vita. E’ una lezione forte per la Chiesa! I discepoli stessi sono scelti per prendersi cura di questa assemblea, di questa famiglia degli ospiti di Dio.

Perché sia viva nell’oggi questa realtà dell’assemblea di Gesù, è indispensabile ravvivare l’alleanza tra la famiglia e la comunità cristiana. Potremmo dire che la famiglia e la parrocchia sono i due luoghi in cui si realizza quella comunione d’amore che trova la sua fonte ultima in Dio stesso. Una Chiesa davvero secondo il Vangelo non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!

E oggi, questa è un’alleanza cruciale. «Contro i “centri di potere” ideologici, finanziari e politici, riponiamo le nostre speranze in questi centri dell’amore evangelizzatori, ricchi di calore umano, basati sulla solidarietà e la partecipazione» (Pont. Cons. per la Famiglia, Gli insegnamenti di J.M. Bergoglio – Papa Francesco sulla famiglia e sulla vita 1999-2014, LEV 2014, 189), e anche sul perdono fra noi.

Rafforzare il legame tra famiglia e comunità cristiana è oggi indispensabile e urgente. Certo, c’è bisogno di una fede generosa per ritrovare l’intelligenza e il coraggio per rinnovare questa alleanza. Le famiglie a volte si tirano indietro, dicendo di non essere all’altezza: “Padre, siamo una povera famiglia e anche un po’ sgangherata”, “Non ne siamo capaci”, “Abbiamo già tanti problemi in casa”, “Non abbiamo le forze”. Questo è vero. Ma nessuno è degno, nessuno è all’altezza, nessuno ha le forze! Senza la grazia di Dio, non potremmo fare nulla. Tutto ci viene dato, gratuitamente dato! E il Signore non arriva mai in una nuova famiglia senza fare qualche miracolo. Ricordiamoci di quello che fece alle nozze di Cana! Sì, il Signore, se ci mettiamo nelle sue mani, ci fa compiere miracoli – ma quei miracoli di tutti i giorni! – quando c’è il Signore, lì, in quella famiglia.

Naturalmente, anche la comunità cristiana deve fare la sua parte. Ad esempio, cercare di superare atteggiamenti troppo direttivi e troppo funzionali, favorire il dialogo interpersonale e la conoscenza e la stima reciproca. Le famiglie prendano l’iniziativa e sentano la responsabilità di portare i loro doni preziosi per la comunità. Tutti dobbiamo essere consapevoli che la fede cristiana si gioca sul campo aperto della vita condivisa con tutti, la famiglia e la parrocchia debbono compiere il miracolo di una vita più comunitaria per l’intera società.

A Cana, c’era la Madre di Gesù, la “madre del buon consiglio”. Ascoltiamo noi le sue parole: “Fate quello che vi dirà” (cfr Gv 2,5). Care famiglie, care comunità parrocchiali, lasciamoci ispirare da questa Madre, facciamo tutto quello che Gesù ci dirà e ci troveremo di fronte al miracolo, al miracolo di ogni giorno! Grazie.

Udienza di Papa Francesco del 26 Agosto 2015

Dopo aver riflettuto su come la famiglia vive i tempi della festa e del lavoro, consideriamo ora il tempo della preghiera. Il lamento più frequente dei cristiani riguarda proprio il tempo: “Dovrei pregare di più…; vorrei farlo, ma spesso mi manca il tempo”. Lo sentiamo continuamente. Il dispiacere è sincero, certamente, perché il cuore umano cerca sempre la preghiera, anche senza saperlo; e se non la trova non ha pace. Ma perché si incontrino, bisogna coltivare nel cuore un amore “caldo” per Dio, un amore affettivo.

Possiamo farci una domanda molto semplice. Va bene credere in Dio con tutto il cuore, va bene sperare che ci aiuti nelle difficoltà, va bene sentirsi in dovere di ringraziarlo. Tutto giusto. Ma vogliamo anche un po’ di bene al Signore? Il pensiero di Dio ci commuove, ci stupisce, ci intenerisce?
Pensiamo alla formulazione del grande comandamento, che sostiene tutti gli altri: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le forze» (Dt 6,5; cfr Mt 22,37). La formula usa il linguaggio intensivo dell’amore, riversandolo in Dio. Ecco, lo spirito di preghiera abita anzitutto qui. E se abita qui, abita tutto il tempo e non ne esce mai. Riusciamo a pensare Dio come la carezza che ci tiene in vita, prima della quale non c’è nulla? Una carezza dalla quale niente, neppure la morte, ci può distaccare? Oppure lo pensiamo soltanto come il grande Essere, l’Onnipotente che ha fatto ogni cosa, il Giudice che controlla ogni azione? Tutto vero, naturalmente. Ma solo quando Dio è l’affetto di tutti i nostri affetti, il significato di queste parole diventa pieno. Allora ci sentiamo felici, e anche un po’ confusi, perché Lui ci pensa e soprattutto ci ama! Non è impressionante questo? Non è impressionante che Dio ci accarezzi con amore di padre? E’ tanto bello! Poteva semplicemente farsi riconoscere come l’Essere supremo, dare i suoi comandamenti e aspettare i risultati. Invece Dio ha fatto e fa infinitamente di più di questo. Ci accompagna nella strada della vita, ci protegge, ci ama.

Se l’affetto per Dio non accende il fuoco, lo spirito della preghiera non riscalda il tempo. Possiamo anche moltiplicare le nostre parole, “come fanno i pagani”, dice Gesù; oppure anche esibire i nostri riti, “come fanno i farisei” (cfr Mt 6,5.7). Un cuore abitato dall’affetto per Dio fa diventare preghiera anche un pensiero senza parole, o un’invocazione davanti a un’immagine sacra, o un bacio mandato verso la chiesa. E’ bello quando le mamme insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Madonna. Quanta tenerezza c’è in questo! In quel momento il cuore dei bambini si trasforma in luogo di preghiera. Ed è un dono dello Spirito Santo. Non dimentichiamo mai di chiedere questo dono per ciascuno di noi! Perché lo Spirito di Dio ha quel suo modo speciale di dire nei nostri cuori “Abbà” – “Padre”, ci insegna a dire “Padre” proprio come lo diceva Gesù, un modo che non potremmo mai trovare da soli (cfr Gal 4,6). Questo dono dello Spirito è in famiglia che si impara a chiederlo e apprezzarlo. Se lo impari con la stessa spontaneità con la quale impari a dire “papà” e “mamma”, l’hai imparato per sempre. Quando questo accade, il tempo dell’intera vita famigliare viene avvolto nel grembo dell’amore di Dio, e cerca spontaneamente il tempo della preghiera.

Il tempo della famiglia, lo sappiamo bene, è un tempo complicato e affollato, occupato e preoccupato. E’ sempre poco, non basta mai, ci sono tante cose da fare. Chi ha una famiglia impara presto a risolvere un’equazione che neppure i grandi matematici sanno risolvere: dentro le ventiquattro ore ce ne fa stare il doppio! Ci sono mamme e papà che potrebbero vincere il Nobel, per questo. Di 24 ore ne fanno 48: non so come fanno ma si muovono e lo fanno! C’è tanto lavoro in famiglia!

Lo spirito della preghiera riconsegna il tempo a Dio, esce dalla ossessione di una vita alla quale manca sempre il tempo, ritrova la pace delle cose necessarie, e scopre la gioia di doni inaspettati. Delle buone guide per questo sono le due sorelle Marta e Maria, di cui parla il Vangelo che abbiamo sentito; esse impararono da Dio l’armonia dei ritmi famigliari: la bellezza della festa, la serenità del lavoro, lo spirito della preghiera (cfr Lc 10,38-42). La visita di Gesù, al quale volevano bene, era la loro festa. Un giorno, però, Marta imparò che il lavoro dell’ospitalità, pur importante, non è tutto, ma che ascoltare il Signore, come faceva Maria, era la cosa veramente essenziale, la “parte migliore” del tempo. La preghiera sgorga dall’ascolto di Gesù, dalla lettura del Vangelo. Non dimenticatevi, tutti i giorni leggere un passo del Vangelo. La preghiera sgorga dalla confidenza con la Parola di Dio. C’è questa confidenza nella nostra famiglia? Abbiamo in casa il Vangelo? Lo apriamo qualche volta per leggerlo assieme? Lo meditiamo recitando il Rosario? Il Vangelo letto e meditato in famiglia è come un pane buono che nutre il cuore di tutti. E alla mattina e alla sera, e quando ci mettiamo a tavola, impariamo a dire assieme una preghiera, con molta semplicità: è Gesù che viene tra noi, come andava nella famiglia di Marta, Maria e Lazzaro. Una cosa che ho molto a cuore e che ho visto nelle città: ci sono bambini che non hanno imparato a fare il segno della croce! Ma tu mamma, papà, insegna al bambino a pregare, a fare il segno della croce: questo è un compito bello delle mamme e dei papà!

Nella preghiera della famiglia, nei suoi momenti forti e nei suoi passaggi difficili, siamo affidati gli uni agli altri, perché ognuno di noi in famiglia sia custodito dall’amore di Dio.

La carità nascosta di Papa Francesco: paga latte, biscotti, affitti scaduti

Ogni notte il Pontefice invia nelle periferie il suo Elemosiniere. Ha messo a disposizione i regali ricevuti per raccogliere fondi destinati ai poveri

L’ultima donazione è di ieri sera. Un furgone carico di olio d’oliva, pasta, pomodori pelati, latte e biscotti è giunto al centro per rifugiati Baobab, al Tiburtino. Una struttura che accoglie migranti etiopi ed eritrei fuggiti dalla fame e dalla guerra. Lo ha inviato Papa Francesco, come già accaduto in passato. A consegnare i generi di conforto è stato monsignor Konrad Krajewski, polacco, elemosiniere di Sua Santità. Poco conosciuto dal grande pubblico, è responsabile di uno dei compiti a cui il Papa tiene maggiormente. In Vaticano si occupa dell’Elemosineria Apostolica: ha il mandato di svolgere la carità in nome e per conto del Pontefice.

Monsignor Krajewski è il “braccio destro” di Papa Francesco. Raccoglie donazioni, distribuisce aiuti, gira quasi tutte le notti le periferie e le stazioni di Roma. All’atto della sua nomina il Santo Padre l’aveva avvertito: «Tu non sarai un vescovo da scrivania – le sue parole – Dovrai essere il prolungamento della mia mano per portare una carezza ai poveri, ai diseredati e agli ultimi della città». E così padre Corrado – molti romani lo conoscono così – opera secondo le direttive del Pontefice. Un’azione concreta e silenziosa.La discrezione è un aspetto fondamentale del suo lavoro: nel piccolo ufficio vicino Porta Sant’Anna nessuno vuole parlare con i giornalisti. A pochi metri di distanza le guardie svizzere montano la guardia al confine dello Stato Vaticano. Qui si raccolgono alcune delle donazioni che saranno distribuite ai poveri. Le maggiori entrate provengono dalle pergamene con la benedizione apostolica rilasciate ai fedeli che ne fanno richiesta. Il denaro ricavato finisce in un “fondo per la carità” che finanzia l’attività dell’Elemosineria di Papa Francesco. A cui contribuiscono anche donazioni private e lo stesso Pontefice.

«Andate incontro ai poveri, non aspettate che essi vengano a voi». Per tener fede a questo principio, Papa Francesco si è dato da fare in prima persona. In questi mesi il Santo Padre ha deciso di mettere a disposizione i regali ricevuti da quando è stato eletto al soglio di Pietro. E così dall’inizio dell’anno ha già organizzato due riffe in Vaticano. Due lotterie pontificie per raccogliere fondi a favore dei poveri. Biciclette elettriche, orologi, videocamere digitali, penne stilografiche. Come primo premio il Papa ha messo in palio addirittura una macchina. Una Panda full optional che gli era stata donata da alcuni operai di Pomigliano. Una somma dopo l’altra, alla fine l’Elemosineria Apostolica ha iniziato a raccogliere cifre importanti. Solo lo scorso anno monsignor Krajewski ha potuto gestire oltre un milione e mezzo di euro. Circa il 25 per cento in più rispetto all’anno precedente. Intendiamoci, la carità ha sempre rappresentato un aspetto centrale della Chiesa Cattolica. «Eppure Papa Francesco – raccontano in Vaticano – ha dato davvero un nuovo impulso a questa attività».

Una volta raccolto, il denaro diventa un aiuto concreto per i bisognosi. Quasi ogni notte l’elemosiniere di Papa Francesco gira per Roma accompagnato da alcune suore e qualche guardia svizzera – ovviamente in borghese – per distribuire generi di conforto ai poveri della Capitale. Vengono donate provviste alimentari ad associazioni di volontariato, centri per immigrati, mense parrocchiali. Con il denaro dell’Elemosineria lo scorso gennaio sono stati costruiti vicino alle Poste Vaticane alcuni bagni e un servizio docce per i clochard della città. Proprio sotto il colonnato di destra del Bernini. Chi si presenta per lavarsi riceve un kit con sapone e un cambio di biancheria intima. E il lunedì può usufruire di un servizio gratuito di barberia. Eppure c’è molto riserbo sulle attività di questo tipo. In Vaticano nessuno vuole dare troppa pubblicità alle iniziative benefiche. Si scopre però che alcuni mesi fa, durante la notte del Venerdì Santo, il Papa ha fatto distribuire alcune buste pasquali contenenti del denaro ai senzatetto che dormivano nelle stazioni di Roma. Per festeggiare il suo ultimo compleanno ha regalato circa 200 sacchi a pelo ad altrettanti vagabondi che dormivano per strada. In un’altra occasione, invece, ha distribuito trecento ombrelli ai poveri che frequentano Borgo Pio. Nessun acquisto, stavolta. Erano ombrelli accatastati un magazzino, persi negli anni dai turisti dentro i musei vaticani.

Sono piccoli doni, certo. «Proprio perché – raccontano in Vaticano – si è voluto estendere al maggior numero di persone il sostegno di un aiuto». A volte si offrono ai poveri beni e servizi. L’Elemosineria Apostolica, ad esempio, ha messo a disposizione di una cooperativa sociale un immobile per aprire una Casa d’Accoglienza per giovani madrinubili e i loro bambini. Altre volte si offrono piccole somme di denaro. A chi ha bisogno di aiuto viene pagata una bolletta del gas,una rata scaduta dell’affitto. Molte persone scrivono direttamente al Pontefice. Nel 2014 sono arrivate almeno 8mila richieste di sostegno. Papa Francesco le gira all’Elemosineria e si assicura che a ognuno venga risposto. Unica accortezza, le domande devono essere accompagnate da un’attestazione dei parroci o di altri ecclesiastici che garantiscano le reali necessità. Come è facile immaginare, la crisi ha visto impennare il numero delle lettere. «Le domande – si legge nel rapporto sull’attività della Santa Sede – hanno disegnato un quadro abbastanza complesso e variegato delle povertà che purtroppo da diverso tempo cominciano ad affliggere anche zone e categorie di persone che finora godevano di un certo benessere economico».

Francesco ha dato l’esempio, ma ha anche chiesto agli altri di seguirlo. E così recentemente l’ordine dei gesuiti – a cui il Pontefice apparteneva – ha deciso di mettere a disposizione dei senzatetto un immobile di proprietà. È un locale in via dei Penitenzieri, nei pressi della Chiesa di Santo Spirito in Sassia, a due passi dal Vaticano. Il contratto di locazione con l’agenzia di viaggi che affittava lo stabile è stato rescisso. Nei prossimi giorni aprirà una struttura in grado di accogliere fino a trenta senzatetto ogni notte. Per un Pontefice che ha chiesto «una Chiesa povera per i poveri», la carità è un punto fermo. Del resto «la gratuità dovrebbe essere una delle caratteristiche del cristiano, che, consapevole di aver ricevuto tutto da Dio gratuitamente, cioè senza alcun merito, impara a donare agli altri gratuitamente» ha spiegato Papa Francesco durante l’omelia dell’ultimo mercoledì delle Ceneri. «Oggi spesso la gratuità non fa parte della vita quotidiana, dove tutto si vende e si compra. Tutto è calcolo e misura. L’elemosina ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha, dalla tristezza di chi non vuole condividere con gli altri il proprio benessere».

L’omosessualità e le unioni omosessuali

Bergoglio ha ribadito l’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’intrinseca immoralità delle pratiche omosessuali e, di pari passo, ha insegnato l’importanza del rispetto per le persone omosessuali.

Nel 2010, in occasione del dibattito sulla legge sostenuta dal governo argentino, volta a stabilire l’equivalenza tra matrimonio eterosessuale e unioni omosessuali, l’arcivescovo di Buenos Aires si oppose al disegno di legge, entrando in contrasto con la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner. In una lettera alle Suore Carmelitane di Buenos Aires Bergoglio scrisse:

« Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio. »
Alcuni hanno sostenuto che la sua militanza nella campagna contro la legge abbia contribuito all’approvazione e da qualche membro della Chiesa argentina la sua lettera fu vista a posteriori come un errore strategico. Nel 2012 la Chiesa argentina espose le sue ragioni nel dibattito su modifiche al codice civile argentino, che includevano la maternità surrogata e la fecondazione assistita, ma evitando il linguaggio forte che le alienò consensi nel 2010.

Il difficile rapporto tra la Casa Rosada e Bergoglio, iniziato già con la presidenza di Néstor Kirchner, è proseguito con fasi alterne fino all’elezione al soglio pontificio.

Nell’enciclica Lumen Fidei, redatta a quattro mani con Benedetto XVI, viene ribadito e valorizzato il ruolo della famiglia intesa come unione tra uomo e donna nel matrimonio:

« Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore.»
Durante una conferenza tenutasi il 29 luglio 2013 per il ritorno al Vaticano dal Brasile per la Giornata mondiale della gioventù, rispondendo a una domanda sulla lobby gay in Vaticano ha affermato:

« Mah! Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi dia la carta d’identità in Vaticano con “gay”. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere una persona gay, dal fatto di fare una lobby: perché le lobby, tutte non sono buone. Quello è cattivo. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, […] e dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli, perché questo è uno, ma se c’è un altro, un altro. Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me.

Udienza di Papa Francesco del 19 Agosto 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver riflettuto sul valore della festa nella vita della famiglia, oggi ci soffermiamo sull’elemento complementare, che è quello del lavoro. Entrambi fanno parte del disegno creatore di Dio, la festa e il lavoro.

Il lavoro, si dice comunemente, è necessario per mantenere la famiglia, per crescere i figli, per assicurare ai propri cari una vita dignitosa. Di una persona seria, onesta, la cosa più bella che si possa dire è: “E’ un lavoratore”, è proprio uno che lavora, è uno che nella comunità non vive alle spalle degli altri. Ci sono tanti argentini oggi, ho visto, e dirò come diciamo noi: «No vive de arriba».

E in effetti il lavoro, nelle sue mille forme, a partire da quello casalingo, ha cura anche del bene comune. E dove si impara questo stile di vita laborioso? Prima di tutto si impara in famiglia. La famiglia educa al lavoro con l’esempio dei genitori: il papà e la mamma che lavorano per il bene della famiglia e della società.

Nel Vangelo, la Santa Famiglia di Nazaret appare come una famiglia di lavoratori, e Gesù stesso viene chiamato «figlio del falegname» (Mt 13,55) o addirittura «il falegname» (Mc 6,3). E san Paolo non mancherà di ammonire i cristiani: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3,10). – È una bella ricetta per dimagrire questa, non lavori, non mangi! – L’Apostolo si riferisce esplicitamente al falso spiritualismo di alcuni che, di fatto, vivono alle spalle dei loro fratelli e sorelle «senza far nulla» (2 Ts 3,11). L’impegno del lavoro e la vita dello spirito, nella concezione cristiana, non sono affatto in contrasto tra loro. E’ importante capire bene questo! Preghiera e lavoro possono e devono stare insieme in armonia, come insegna san Benedetto. La mancanza di lavoro danneggia anche lo spirito, come la mancanza di preghiera danneggia anche l’attività pratica.

Lavorare – ripeto, in mille forme – è proprio della persona umana. Esprime la sua dignità di essere creata a immagine di Dio. Perciò si dice che il lavoro è sacro. E perciò la gestione dell’occupazione è una grande responsabilità umana e sociale, che non può essere lasciata nelle mani di pochi o scaricata su un “mercato” divinizzato. Causare una perdita di posti di lavoro significa causare un grave danno sociale. Io mi rattristo quando vedo che c’è gente senza lavoro, che non trova lavoro e non ha la dignità di portare il pane a casa. E mi rallegro tanto quando vedo che i governanti fanno tanti sforzi per trovare posti di lavoro e per cercare che tutti abbiano un lavoro. Il lavoro è sacro, il lavoro dà dignità a una famiglia. Dobbiamo pregare perché non manchi il lavoro in una famiglia.

Dunque, anche il lavoro, come la festa, fa parte del disegno di Dio Creatore. Nel libro della Genesi, il tema della terra come casa-giardino, affidata alla cura e al lavoro dell’uomo (2,8.15), è anticipato con un passaggio molto toccante: «Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare» (2,4b-6a). Non è romanticismo, è rivelazione di Dio; e noi abbiamo la responsabilità di comprenderla e assimilarla fino in fondo. L’Enciclica Laudato si’, che propone un’ecologia integrale, contiene anche questo messaggio: la bellezza della terra e la dignità del lavoro sono fatte per essere congiunte. Vanno insieme tutte e due: la terra diviene bella quando è lavorata dall’uomo. Quando il lavoro si distacca dall’alleanza di Dio con l’uomo e la donna, quando si separa dalle loro qualità spirituali, quando è in ostaggio della logica del solo profitto e disprezza gli affetti della vita, l’avvilimento dell’anima contamina tutto: anche l’aria, l’acqua, l’erba, il cibo… La vita civile si corrompe e l’habitat si guasta. E le conseguenze colpiscono soprattutto i più poveri e le famiglie più povere. La moderna organizzazione del lavoro mostra talvolta una pericolosa tendenza a considerare la famiglia un ingombro, un peso, una passività, per la produttività del lavoro. Ma domandiamoci: quale produttività? E per chi? La cosiddetta “città intelligente” è indubbiamente ricca di servizi e di organizzazione; però, ad esempio, è spesso ostile ai bambini e agli anziani.

A volte chi progetta è interessato alla gestione di forza-lavoro individuale, da assemblare e utilizzare o scartare secondo la convenienza economica. La famiglia è un grande banco di prova. Quando l’organizzazione del lavoro la tiene in ostaggio, o addirittura ne ostacola il cammino, allora siamo sicuri che la società umana ha incominciato a lavorare contro se stessa!

Le famiglie cristiane ricevono da questa congiuntura una grande sfida e una grande missione. Esse portano in campo i fondamentali della creazione di Dio: l’identità e il legame dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, il lavoro che rende domestica la terra e abitabile il mondo. La perdita di questi fondamentali è una faccenda molto seria, e nella casa comune ci sono già fin troppe crepe! Il compito non è facile. A volte può sembrare alle associazioni delle famiglie di essere come Davide di fronte a Golia… ma sappiamo come è andata a finire quella sfida! Ci vogliono fede e scaltrezza. Dio ci conceda di accogliere con gioia e speranza la sua chiamata, in questo momento difficile della nostra storia, la chiamata al lavoro per dare dignità a se stessi e alla propria famiglia.

Aborto, eutanasia e pratiche anticoncezionali

Il Papa Bergoglio, conformemente alla posizione ufficiale della Chiesa su questi temi, ha invitato il clero e i laici ad opporsi all’aborto e all’eutanasia, ritenendo i movimenti politici ad essi favorevoli espressione di una “cultura della morte”.

Secondo il quotidiano britannico The Guardian, avrebbe una visione diversa da quella ufficiale della Chiesa sull’uso di contraccettivi, ritenendo che possono essere ammissibili per prevenire la diffusione di malattie, anche se si è opposto alla loro distribuzione gratuita, proposta dal Governo Kirchner, in Argentina.