Vangelo di Giovedì 20 Agosto 2015

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Libro dei Giudici 11,29-39a.
Allora lo spirito del Signore venne su Iefte ed egli attraversò Gàlaad e Manàsse, passò a Mizpa di Gàlaad e da Mizpa di Gàlaad raggiunse gli Ammoniti.
Iefte fece voto al Signore e disse: “Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti,
la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto”.
Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli mise nelle mani.
Egli li sconfisse da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramin. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti.
Poi Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con timpani e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie.
Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: “Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi”.
Essa gli disse: “Padre mio, se hai dato parola al Signore, fà di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici”.
Poi disse al padre: “Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne”.
Egli le rispose: “Và!”, e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità.
Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza:

Salmi 40(39),5.7-8a.8b-9.10.
Beato l’uomo che spera nel Signore
e non si mette dalla parte dei superbi,
né si volge a chi segue la menzogna.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.

Allora ho detto: «Ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto,
di compiere il tuo volere.

Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore».
Ho annunziato la tua giustizia

nella grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,1-14.
In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in parabole ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio.
Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire.
Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono gia macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.
Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;
altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni;
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale,
gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì.
Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

L’omosessualità e le unioni omosessuali

Bergoglio ha ribadito l’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’intrinseca immoralità delle pratiche omosessuali e, di pari passo, ha insegnato l’importanza del rispetto per le persone omosessuali.

Nel 2010, in occasione del dibattito sulla legge sostenuta dal governo argentino, volta a stabilire l’equivalenza tra matrimonio eterosessuale e unioni omosessuali, l’arcivescovo di Buenos Aires si oppose al disegno di legge, entrando in contrasto con la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner. In una lettera alle Suore Carmelitane di Buenos Aires Bergoglio scrisse:

« Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio. »
Alcuni hanno sostenuto che la sua militanza nella campagna contro la legge abbia contribuito all’approvazione e da qualche membro della Chiesa argentina la sua lettera fu vista a posteriori come un errore strategico. Nel 2012 la Chiesa argentina espose le sue ragioni nel dibattito su modifiche al codice civile argentino, che includevano la maternità surrogata e la fecondazione assistita, ma evitando il linguaggio forte che le alienò consensi nel 2010.

Il difficile rapporto tra la Casa Rosada e Bergoglio, iniziato già con la presidenza di Néstor Kirchner, è proseguito con fasi alterne fino all’elezione al soglio pontificio.

Nell’enciclica Lumen Fidei, redatta a quattro mani con Benedetto XVI, viene ribadito e valorizzato il ruolo della famiglia intesa come unione tra uomo e donna nel matrimonio:

« Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore.»
Durante una conferenza tenutasi il 29 luglio 2013 per il ritorno al Vaticano dal Brasile per la Giornata mondiale della gioventù, rispondendo a una domanda sulla lobby gay in Vaticano ha affermato:

« Mah! Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi dia la carta d’identità in Vaticano con “gay”. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere una persona gay, dal fatto di fare una lobby: perché le lobby, tutte non sono buone. Quello è cattivo. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, […] e dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli, perché questo è uno, ma se c’è un altro, un altro. Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me.

San Bernardo di Chiaravalle


Bernardo di Chiaravalle (in francese: Bernard de Clairvaux), terzo di sette fratelli, nasce a Fontaine-lès-Dijon (F) nel 1091 da Tescelino il Sauro, vassallo di Oddone I di Borgogna, e da Aletta, figlia di Bernardo di Montbard, anch’egli vassallo del duca di Borgogna. Studiò nella scuola dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, presso Châtillon-sur-Seine, dove la famiglia aveva dei possedimenti.
Ritornato nel castello paterno di Fontaines, nel 1111, insieme ai cinque fratelli e ad altri parenti e amici, si ritirò nella casa di Châtillon per condurvi una vita di ritiro e di preghiera finché, l’anno seguente, con una trentina di compagni si fece monaco nel convento cistercense di Cîteaux, fondato quindici anni prima da Roberto di Molesmes e allora retto da Stefano Harding.

Nel 1115, insieme con dodici compagni, tra i quali c’erano quattro fratelli, uno zio e un cugino, si trasferì nella proprietà di un parente, nella regione della Champagne, che aveva donato ai monaci un vasto terreno sulle rive del fiume Aube, nella diocesi di Langres perché vi fosse costruito un nuovo convento cistercense: essi chiamarono quella valle Clairvaux (Chiaravalle).
Ottenuta l’approvazione del vescovo Guglielmo di Champeaux e ricevute numerose donazioni, l’abbazia divenne in breve tempo un centro di richiamo oltre che di irradiazione: già dal 1118 monaci di Clairvaux partirono per fondare altrove nuovi conventi, come a Trois-Fontaines, a Fontenay, a Foigny, a Autun, a Laon; si calcola che nell’arco dei primi 40 anni furono sessantotto i conventi fondati da monaci provenienti da Chiaravalle.

Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Scaglia sull’Europa incolta i suoi miti dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono all’ordine la terra e l’acqua, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, è chiamato spesso a missioni di vertice, come quando percorre tutta l’Europa per farvi riconoscere il Pp Innocenzo II (Gregorio Papareschi, 1130-1143) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto II). E lo scisma finisce, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà. Questo asceta, però, non sempre riesce ad apprezzare chi esplora altri percorsi di fede. Bernardo attacca duramente la dottrina trinitaria di Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers e fa condannare l’insegnamento di Pietro Abelardo (docente di teologia e logica a Parigi).

Nel 1145 sale al pontificato il suo discepolo Bernardo dei Paganelli (Eugenio III, 1145-1153) e lui gli manda un trattato buono per ogni papa, ma adattato per lui, con l’invito a non illudersi su chi ha intorno: “Puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare”. Eugenio III lo chiama poi a predicare la crociata (la seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme ma l’impresa fallirà davanti a Damasco.

Abbiamo di lui 331 sermoni, più 534 lettere, più i trattati famosi: su grazia e libero arbitrio, sul battesimo, sui doveri dei vescovi…e gli scritti su Maria madre di Gesù che egli chiama mediatrice di grazie.

Momenti amari negli ultimi anni: difficoltà nell’Ordine, la diffusione di eresie e la sofferenza fisica; muore per tumore allo stomaco à Ville-sous-la-Ferté il 20 agosto 1153. È seppellito nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i resti andranno dispersi; tranne la testa, ora nella cattedrale di Troyes.

Canonizzato nel 1174 da Pp Alessandro III (Rolando Bandinelli, 1159-1181), fu dichiarato Dottore della Chiesa da Pp Pio VIII (Saverio Castiglioni, 1829-1830) nel 1830.

Significato del nome Bernardo : “ardito come orso” (tedesco).

Udienza di Papa Francesco del 19 Agosto 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver riflettuto sul valore della festa nella vita della famiglia, oggi ci soffermiamo sull’elemento complementare, che è quello del lavoro. Entrambi fanno parte del disegno creatore di Dio, la festa e il lavoro.

Il lavoro, si dice comunemente, è necessario per mantenere la famiglia, per crescere i figli, per assicurare ai propri cari una vita dignitosa. Di una persona seria, onesta, la cosa più bella che si possa dire è: “E’ un lavoratore”, è proprio uno che lavora, è uno che nella comunità non vive alle spalle degli altri. Ci sono tanti argentini oggi, ho visto, e dirò come diciamo noi: «No vive de arriba».

E in effetti il lavoro, nelle sue mille forme, a partire da quello casalingo, ha cura anche del bene comune. E dove si impara questo stile di vita laborioso? Prima di tutto si impara in famiglia. La famiglia educa al lavoro con l’esempio dei genitori: il papà e la mamma che lavorano per il bene della famiglia e della società.

Nel Vangelo, la Santa Famiglia di Nazaret appare come una famiglia di lavoratori, e Gesù stesso viene chiamato «figlio del falegname» (Mt 13,55) o addirittura «il falegname» (Mc 6,3). E san Paolo non mancherà di ammonire i cristiani: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3,10). – È una bella ricetta per dimagrire questa, non lavori, non mangi! – L’Apostolo si riferisce esplicitamente al falso spiritualismo di alcuni che, di fatto, vivono alle spalle dei loro fratelli e sorelle «senza far nulla» (2 Ts 3,11). L’impegno del lavoro e la vita dello spirito, nella concezione cristiana, non sono affatto in contrasto tra loro. E’ importante capire bene questo! Preghiera e lavoro possono e devono stare insieme in armonia, come insegna san Benedetto. La mancanza di lavoro danneggia anche lo spirito, come la mancanza di preghiera danneggia anche l’attività pratica.

Lavorare – ripeto, in mille forme – è proprio della persona umana. Esprime la sua dignità di essere creata a immagine di Dio. Perciò si dice che il lavoro è sacro. E perciò la gestione dell’occupazione è una grande responsabilità umana e sociale, che non può essere lasciata nelle mani di pochi o scaricata su un “mercato” divinizzato. Causare una perdita di posti di lavoro significa causare un grave danno sociale. Io mi rattristo quando vedo che c’è gente senza lavoro, che non trova lavoro e non ha la dignità di portare il pane a casa. E mi rallegro tanto quando vedo che i governanti fanno tanti sforzi per trovare posti di lavoro e per cercare che tutti abbiano un lavoro. Il lavoro è sacro, il lavoro dà dignità a una famiglia. Dobbiamo pregare perché non manchi il lavoro in una famiglia.

Dunque, anche il lavoro, come la festa, fa parte del disegno di Dio Creatore. Nel libro della Genesi, il tema della terra come casa-giardino, affidata alla cura e al lavoro dell’uomo (2,8.15), è anticipato con un passaggio molto toccante: «Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare» (2,4b-6a). Non è romanticismo, è rivelazione di Dio; e noi abbiamo la responsabilità di comprenderla e assimilarla fino in fondo. L’Enciclica Laudato si’, che propone un’ecologia integrale, contiene anche questo messaggio: la bellezza della terra e la dignità del lavoro sono fatte per essere congiunte. Vanno insieme tutte e due: la terra diviene bella quando è lavorata dall’uomo. Quando il lavoro si distacca dall’alleanza di Dio con l’uomo e la donna, quando si separa dalle loro qualità spirituali, quando è in ostaggio della logica del solo profitto e disprezza gli affetti della vita, l’avvilimento dell’anima contamina tutto: anche l’aria, l’acqua, l’erba, il cibo… La vita civile si corrompe e l’habitat si guasta. E le conseguenze colpiscono soprattutto i più poveri e le famiglie più povere. La moderna organizzazione del lavoro mostra talvolta una pericolosa tendenza a considerare la famiglia un ingombro, un peso, una passività, per la produttività del lavoro. Ma domandiamoci: quale produttività? E per chi? La cosiddetta “città intelligente” è indubbiamente ricca di servizi e di organizzazione; però, ad esempio, è spesso ostile ai bambini e agli anziani.

A volte chi progetta è interessato alla gestione di forza-lavoro individuale, da assemblare e utilizzare o scartare secondo la convenienza economica. La famiglia è un grande banco di prova. Quando l’organizzazione del lavoro la tiene in ostaggio, o addirittura ne ostacola il cammino, allora siamo sicuri che la società umana ha incominciato a lavorare contro se stessa!

Le famiglie cristiane ricevono da questa congiuntura una grande sfida e una grande missione. Esse portano in campo i fondamentali della creazione di Dio: l’identità e il legame dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, il lavoro che rende domestica la terra e abitabile il mondo. La perdita di questi fondamentali è una faccenda molto seria, e nella casa comune ci sono già fin troppe crepe! Il compito non è facile. A volte può sembrare alle associazioni delle famiglie di essere come Davide di fronte a Golia… ma sappiamo come è andata a finire quella sfida! Ci vogliono fede e scaltrezza. Dio ci conceda di accogliere con gioia e speranza la sua chiamata, in questo momento difficile della nostra storia, la chiamata al lavoro per dare dignità a se stessi e alla propria famiglia.

San Giovanni (Jean) Eudes


Giovanni, al secolo Jean, Eudes nasce il 14 Novembre 1601 a Ri, piccolo villaggio della Normandia. I suoi genitori, Isacco Eudes e Marta Corbin, angosciati di non aver avuto figli dopo tre anni di matrimonio, si rivolsero alla SS. Vergine e fecero voto che, se fossero stati esauditi, sarebbero andati in pellegrinaggio a una cappella dedicata a Nostra Signora del Soccorso. Essi adempirono fedelmente questo voto, allorché Marta rimase incinta, e fecero al Signore e alla sua Santa Madre l’offerta del bambino che portava in grembo. Due giorni dopo la nascita, fu battezzato nella sua Parrocchia natale dove, scriverà più tardi in un suo memoriale, “c’era pochissima istruzione religiosa e dove pochissime persone si comunicavano solo a Pasqua”.
Malgrado questo ambiente sfavorevole egli cominciò a dodici anni a conoscere Dio, a comunicarsi tutti i mesi, dopo aver fatto una confessione generale. Qualche tempo dopo, prosegue Giovanni Eudes nel suo diario: “Dio mi fece anche la grazia di consacrare a Lui il mio corpo con il voto di castità, di cui sia sempre benedetto”.
Ricevette le sue prime lezioni di catechismo e di grammatica da un maestro che era prete, il cui esempio e istruzioni gli giovarono moltissimo. Il 9 Ottobre 1615, suo padre lo mandò al “College du Mont” tenuto dai Gesuiti nella città di Caen. L’adolescente vi trovò degli educatori di gran valore umano e spirituale, specialmente “Padre Robin, un direttore virtuoso e molto pio, che ci parlava sovente di Dio con un fervore straordinario, ciò mi aiutò molto per le cose della salvezza”.

Nel 1619, dopo aver terminato il liceo, Giovanni Eudes intraprese gli studi di filosofia. Il 19 settembre 1620 ricevette a Sèez, la città episcopale della Diocesi dove era nato, la tonsura e gli ordini minori. Egli dunque già pensava al sacerdozio, ma il clero diocesano, spesso piuttosto mediocre, non lo attirava affatto, ma nemmeno intendeva entrare nella vita religiosa. Ben presto fece la conoscenza di un Istituto nuovo: l’Oratorio di Gesù, che nel 1622 aprì una casa a Caen. Fondato undici anni prima da Pierre de Bérulle, l’oratorio non era un ordine religioso, ma una Società di preti che vivono in Comunità, che proponeva ai suoi membri di vivere a fondo le esigenze della vita sacerdotale e voleva anche contribuire al rinnovamento spirituale e pastorale del clero. Giovanni Eudes fu sedotto da questo ideale e il 25 marzo 1623 fu ammesso all’Oratorio a Parigi.
Formato da maestri prestigiosi, tra cui lo stesso Bérulle, fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1625. Per uno stato di affaticamento e di debolezza che gli impediva di lavorare all’esterno, egli passò due anni a riposo, nella preghiera, nella lettura e in altri esercizi spirituali. Era appena guarito quando apprese che un’epidemia di peste aveva colpito un’intera regione in prossimità del suo villaggio natale. Egli supplicò Bérulle che gli permettesse di andarci e vi passò più di due mesi a curare i malati, a somministrare loro i Sacramenti a rischio della sua vita. Cessata l’epidemia andò a risiedere nella comunità dell’Oratorio di Caen dove esercitò il ministero della predicazione, della confessione e della direzione spirituale.
Ben presto, nel 1630, questa stessa città fu decimata dalla peste. Giovanni Eudes si recò di nuovo al soccorso dei malati abbandonati. Si fa infermiere dei malatie confortatore dei moribondi,ma i suoi amici si tengono alla larga, per pauradel contagio. Allora li tranquillizza,isolandosi: dormesu un pagliaio, dentro unabotte. Prende il male anchelui, ma ne guarisce, e infine torna all’attività principale: le “missioni al popolo”,che sono cicli di soggiorno, incontri e predicazione, da un paese all’altro.
Percorre il Nord della Francia, dimostrandosi “predicatore di qualità straordinarie; dove passava, convertiva” (L.Mezzadri).

Fondò nel 1641 la “Congregazione di Nostra Signora della Carità del Rifugio”, un istituto religioso femminile destinato al recupero delle prostitute in cerca di redenzione: l’Ordine ottenne l’approvazione di Pp Alessandro VII (Fabio Chigi, 1655-1667) il 2 gennaio 1666.

Con l’approvazione del cardinale de Richelieu, nel 1643 Giovanni Eudes abbandonò l’Oratorio e decise di dedicarsi alla formazione del clero secondo i dettami del Concilio di Trento: a tale scopo, il 25 marzo 1643 fondò a Caen la “Congregazione di Gesù e Maria”, formata da sacerdoti (chiamati poi Eudisti) legati dal voto di obbedienza con lo scopo di tenere anche le “missioni al popolo”, ma soprattutto di aprire e dirigere seminari, che diano ai futuri sacerdoti l’indispensabile formazione spirituale. Per trasformarli da opachi funzionari del culto (come troppi di loro si sentono) in diffusori dell’amore incessante di Dio, simboleggiato nelle immagini del cuore di Gesù e del cuore di Maria. Nel 1674, la detta congregazione ottenne la particolare protezione di Pp Clemente X (Emilio Altieri, 1670-1676).

Si fece promotore e diffusore della devozione ai Sacri cuori (in onore dei quali nel 1637 scrisse il libello “La vita e il regno di Gesù”) e compose l’ufficio liturgico delle messe per le feste del Sacro Cuore di Maria (celebrata per la prima volta nel 1648) e del Sacro Cuore di Gesù (1672).
Fino al limite delle sue forze Giovanni Eudes continuerà ancora a predicare missioni, nell’ovest, ed anche in Borgogna, a Parigi e davanti al Re.
La sua vita si conclude a Caen il 19 agosto 1680.

Ha lasciato anche diversi scritti, tra i quali:
“Il Cuore ammirabile della Santissima Madre di Dio”;
“Vita e Regno di Gesù nelle anime cristiane”;
“Miseria dell’uomo e grandezza del cristiano”.

È stato dichiarato beato da S. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1903-1914) il 25 aprile 1909; Pp Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) lo ha canonizzato il 31 maggio 1925 definendolo : “Padre, Apostolo e Dottore del Culto liturgico del Cuore di Gesù e di Maria.”
Le sue spoglie riposano in Colombia, dove si trova la casa generalizia dei Padri Missionari Eudisti.

Significato del nome Giovanni : “il Signore è benefico, dono del Signore” (ebraico).

L’uomo dell’ultima ora: “Gli ultimi saranno i primi”

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Cosa ha fatto il ladrone per ricevere in eredità il Paradiso, dopo la croce? … Mentre Pietro rinnegava Cristo, il ladrone, dall’alto della croce, gli rendeva testimonianza. Non lo dico per denigrare Pietro; lo dico per mettere in evidenza la grande anima del ladrone… Questi non tiene conto di tutti coloro che intorno vociferavano, indirizzando loro insulti ed ingiurie. Non ha neppure considerato lo stato miserabile della crocifissione davanti a lui. Ha visto tutto con lo sguardo pieno di fede… Si voltò verso il Signore dei cieli e donandosi a lui disse: “Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo Regno” (Lc 23,42). Non dimentichiamo con facilità l’esempio del ladrone e non vergogniamoci di prenderlo come maestro, lui che nostro Signore, senza arrossire, ha introdotto per primo in paradiso…

Non gli dice, come a Pietro: “Vieni, seguimi, e ti farò pescatore di uomini” (Mt 4,19). Non gli ha detto nemmeno come ai dodici: “Siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele” (Mt 19,28). Non l’ha gratificato con alcun titolo; non gli ha mostrato alcun miracolo. Il ladrone non l’ha visto risuscitare un morto, né cacciare i demoni; non ha visto il mare obbedirgli. Cristo non gli ha detto nulla del Regno, né della Geenna. Eppure lui gli ha reso testimonianza davanti a tutti ed ha ricevuto in eredità il Regno.

Vangelo di Mercoledì 19 Agosto 2015

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Libro dei Giudici 9,6-15.
Tutti i signori di Sichem e tutta Bet-Millo si radunarono e andarono a proclamare re Abimèlech presso la Quercia della Stele che si trova a Sichem.
Ma Iotam, informato della cosa, andò a porsi sulla sommità del monte Garizim e, alzando la voce, gridò: “Ascoltatemi, signori di Sichem, e Dio ascolterà voi!
Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi. Dissero all’ulivo: Regna su di noi.
Rispose loro l’ulivo: Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dei e uomini, e andrò ad agitarmi sugli alberi?
Dissero gli alberi al fico: Vieni tu, regna su di noi.
Rispose loro il fico: Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, e andrò ad agitarmi sugli alberi?
Dissero gli alberi alla vite: Vieni tu, regna su di noi.
Rispose loro la vite: Rinuncerò al mio mosto che allieta dei e uomini, e andrò ad agitarmi sugli alberi?
Dissero tutti gli alberi al rovo: Vieni tu, regna su di noi.
Rispose il rovo agli alberi: Se in verità ungete me re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano.

Salmi 21(20),2-3.4-5.6-7.
Signore, il re gioisce della tua potenza,
quanto esulta per la tua salvezza!
Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,
non hai respinto il voto delle sue labbra.

Gli vieni incontro con larghe benedizioni;
gli poni sul capo una corona di oro fino.
Vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa,
lunghi giorni in eterno, senza fine.

Grande è la sua gloria per la tua salvezza,
lo avvolgi di maestà e di onore;
lo fai oggetto di benedizione per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 20,1-16a.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati
e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?
Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno.
Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo:
Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?
Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te.
Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?
Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

Natività di San Giovanni Battista

Giovanni Battistaè l’unico santo, insieme a Maria, la Madre di Dio, di cui festeggiamo la nascita e non solo la morte. È un gesto di considerazione verso colui che Gesù stesso definirà il più grande fra i nati di donna.

Giovanni Battista non ha compiuto nessun miracolo nel corso della sua vita terrena, come d’altra parte Maria santissima, ma tutto nella sua storia personale ha dello straordinario.
Già la sua nascita esce dalla normalità delle vicende umane. Suo padre resta muto per tutto il tempo della gravidanza della moglie già avanti con l’età e recupera la parola solo otto giorni dopo il parto di Elisabetta.

Zaccaria, come tutti i discendenti di Levi, una delle dodici tribù di Israele, apparteneva all’ordine sacerdotale. Di solito se ne stava a curare le sue proprietà nel Sud, ma due volte l’anno, una delle quali a fine settembre, si recava a Gerusalemme, dove con i suoi compagni della classe di Abìa, prestava il suo servizio nel tempio.
Fra le altre incombenze c’era quella di presentare l’offerta dell’incenso nel pomeriggio. Non era un compito gravoso e andava estratto a sorte; quel giorno toccò a lui. Dall’altare dove si bruciavano gli animali offerti in sacrificio egli doveva salire i dodici gradini che introducevano nella sala detta il “Santo” separato dall’esterno da un velo: lì si trovava l’altare dei profumi in legno di acacia rivestito di ori. Ma quel giorno, dopo avere compiuto il suo rito, il sacerdote Zaccaria non esce subito dal “Santo” e, quando finalmente si fa vedere al popolo in attesa nell’atrio, tutti capiscono che nel tempo in cui egli se ne stava ritirato doveva essere successo qualcosa di strano, perché l’ormai anziano Zaccaria non poteva più parlare ed era costretto ad esprimersi a gesti.
Un angelo gli era apparso e gli aveva dato un annuncio. La sua preghiera insistente di avere un figlio era stata esaudita ed egli avrebbe dovuto chiamare Giovanni il bambino che sarebbe nato. Da parte sua Giovanni sarebbe stato grande davanti al Signore, temperante in tutto e pieno di Spirito santo. Il suo compito sarebbe stato quello di preparare al Messia un popolo ben disposto.

La Chiesa con la celebrazione della natività di Giovanni il Battista vuole indicare lo stretto nesso che intercorre fra il Salvatore e il suo Precursore. Nel primo incontro con Gesù ancora nel grembo della madre sua, Giovanni, anch’egli ancora nel grembo di Elisabetta, esulta di gioia. A lui è affidato il compito di preparare gli animi all’incontro con il Salvatore, preparare la sposa da presentare allo sposo, disporre l’animo dei discepoli a seguire il Maestro che deve crescere mentre egli deve diminuire. La sua testimonianza è decisa e irrevocabile : “Io non sono il Cristo…Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete,
uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”.(Gv 1,20, 26-27). Verrà il momento in cui lui stesso lo indicherà ai suoi discepoli: “Ecco l’Agnello di Dio…”.(Gv 1,29)

Il brano del vangelo di Luca ci fa assistere con senso di stupore a questa nascita miracolosa, al commento meravigliato della gente della Giudea montagnosa, e alla sorpresa quando si tratta di dare il nome al fanciullo, nel momento della circoncisione, ottavo giorno dalla nascita. Elisabetta dice apertamente:“Giovanni è il suo nome”. Si pensa che si tratti di demenza…Vogliono sentire il parere del padre Zaccaria, ancora nella sua mutevolezza. Egli scrive su una tavoletta: Il suo nome è Giovanni – dono di Dio. Allora si verifica qualche cosa di straordinario. Zaccaria riprende la parola e canta il suo canto di lode, lui che era muto ora canta: “Benedetto il Signore, Dio di Israele…” (cfr Lc 1, 68-79 >>> Preghiere del mattino e della sera).
Giustamente, la gente dinanzi a queste manifestazioni della potenza dell’Altissimo, si chiede: “Che sarà mai questo bambino?” Oggi, possiamo rispondere: Sarà la voce che invita a penitenza, sarà il martire che paga con la sua vita la fedeltà alla missione affidatagli.
La sua nascita, che precede di poco quella del Salvatore, è salutata con sentimenti di gioia da tutta la Chiesa. La sua grandezza è proclamata dal Signore. “Io vi dico: Tra i nati di donna non ce n’è uno più grande di Giovanni!” (Lc 7,28)

Ogni illuminato dalla grazia del battesimo dovrebbe sentire come propria la missione di preparare la via del Signore nella sua anima e in quella di quanti incontrerà nella vita. Giovanni ci indica la via: Fedeltà ai doni di Dio e profonda umiltà.

Significato del nome Giovanni : “il Signore è benefico, dono del Signore” (ebraico).

Il Cristianesimo come vera religione e la sua diffusione universale

Posso tuttavia dire, con la massima sicurezza e con buona pace di tutti coloro che amano ostinatamente i loro libri, che non si può dubitare, in questi tempi segnati dal Cristianesimo, quale religione sia da preferire e costituisca la via per la verità e la felicità. Se infatti Platone stesso fosse vivo e non disdegnasse le mie domande o, piuttosto, se qualcuno dei suoi discepoli l’avesse interrogato quando era ancora in vita, egli lo avrebbe persuaso che la verità non si vede con gli occhi del corpo, ma con la mente pura; che qualunque anima, che ad essa aderisca, diviene felice e perfetta; ma che nulla le impedisce di coglierla più della vita dedita ai piaceri e delle false immagini delle cose sensibili, le quali, impresse in noi da questo mondo sensibile attraverso il corpo, sono fonte di opinioni diverse e di errori. E che, perciò, bisogna risanare l’animo perché possa fissare lo sguardo sull’immutabile forma delle cose e sulla bellezza che si conserva sempre uguale e in ogni aspetto simile a se stessa, non divisa dallo spazio né trasformata dal tempo, unitaria e identica in ogni sua parte: una bellezza della cui esistenza gli uomini diffidano, mentre esiste davvero e al massimo grado. Inoltre, l’avrebbe persuaso che tutte le altre cose nascono, muoiono, scorrono, svaniscono, ma tuttavia, in quanto sono, sussistono create dall’eterno Dio mediante la sua verità; e che, fra queste cose, soltanto all’anima razionale e intellettuale è stato concesso di godere della contemplazione della sua eternità, di ornarsene e di poter meritare la vita eterna. Gli avrebbe fatto presente anche che, finché è presa dall’amore e dal dolore per le cose che nascono e passano e, dedita alle consuetudini di questa vita e ai sensi del corpo, si perde dietro a vuote immagini, essa irride a chi afferma che vi è qualcosa che non può né essere visto con questi occhi né essere pensato mediante immagini, ma che può essere percepito soltanto dalla mente e dall’intelligenza. Qualora dunque quel discepolo, mentre il maestro lo persuade di queste cose, gli domandasse – nel caso in cui esista un uomo grande e divino che riesca a convincere i popoli per lo meno a credere tali cose, quando non siano capaci di comprenderle; o ad impedire che quelli che ne sono capaci, in quanto non inviluppati nelle perverse opinioni della moltitudine, rimangano sopraffatti dagli errori comuni – se lo giudica degno di onori divini, credo che risponderebbe che ciò non può essere opera di un uomo; a meno che la Virtù e Sapienza stessa di Dio non lo abbia sottratto alle leggi della natura e, dopo averlo istruito fin dall’infanzia non con un insegnamento umano ma con un’illuminazione interiore, non lo abbia ornato di tanta grazia, dotato di tanta fermezza, infine elevato con tanta maestà da convertire il genere umano, con sommo amore e autorità, ad una fede così salutare, disprezzando tutto ciò che i perversi desiderano, sopportando tutto ciò di cui hanno orrore e facendo tutto ciò che guardano con ammirazione. Riguardo invece agli onori dovuti a tale uomo, invero sarebbe stato inutile chiedere a Platone un parere, poiché si può facilmente comprendere quali grandi onori si debbano rendere alla Sapienza di Dio, sotto la cui azione e guida siffatto uomo, per la vera salvezza del genere umano, ha meritato qualcosa di grande e che oltrepassa le possibilità umane.

Fonte: Sant’Agostino