Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarito

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È la fede che tocca Cristo; è la fede che lo vede. Non è il nostro corpo che lo tocca; non lo afferrano gli occhi della nostra natura. Infatti vedere senza percepire, non è vedere; sentire senza comprendere, non è sentire, né è toccare se non tocchiamo con la fede…

Se consideriamo la misura della nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che, in rapporto a lui, possiamo toccare soltanto la frangia; la parte superiore del suo mantello non la possiamo raggiungere. Se dunque vogliamo anche noi essere guariti, tocchiamo mediante la fede la frangia di Cristo. Egli non ignora quanti toccano la sua frangia, anche se la toccano mentre è voltato di spalle. Infatti Dio non ha bisogno di occhi per vedere; non ha sensi corporali, ma possiede in lui la conoscenza di ogni cosa. Beato dunque chi tocca almeno l’estremità del Verbo; chi può infatti afferrarlo interamente?

San Biagio

Biagio visse tra il III e il IV secolo a Sebaste, in Armenia (Asia Minore) : era medico e venne nominato vescovo della sua città.

Biagio in qualità di vescovo, dunque, governava la comunità di Sebaste nel periodo in cui nell’Impero romano si concesse la libertà di culto ai cristiani: nel 313.

Nel 316, a causa della sua fede, venne imprigionato e processato; rifiutò di rinnegare la fede cristiana e, per punizione, fu prima straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana, e poi decapitato.
Quello che risulta strano agli occhi degli storici è che Biagio muore martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell’Impero Romano.
Una motivazione plausibile sul suo martirio sembra sia dovuta al dissidio scoppiato, nel 314, tra Costantino I e Licinio, i due imperatori-cognati (Licinio era sposato con una sorella di Costantino), e proseguito, con brevi tregue e nuove lotte, fino al 325, quando Costantino fa strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco).
Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi.
Per Biagio i racconti tradizionali, seguendo modelli frequenti in quest’epoca, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani, sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili.

Il corpo di Biagio è deposto nella sua cattedrale di Sebaste ma, nel 732, una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca, però, il loro viaggio a Maratea (PZ): qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta, nel 1963, la grande statua del Redentore, alta 21 metri.

S. Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate e invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente salvato un bambino liberandolo da una spina o lisca conficcata nella sua gola.

Il culto di S. Biagio, oltre che in Europa e nelle Americhe, è molto diffuso in Italia dove sono numerosi i comuni che portano il suo nome e numerosissimi quelli di cui è il patrono.
Molti di questi comuni posseggono anche delle reliquie come :
Carosino (TA) : un pezzo della lingua, conservato in un’ampolla incastonata in una croce d’oro massiccio;
Caramagna Piemonte (CN) : un pezzo del cranio conservato in un busto argenteo;
Cardito (NA) : un ossicino del braccio;
Palomonte (SA) : una reliquia nella Chiesa madre Santa Croce;
Penne, in Abruzzo : il cranio del santo.

Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera, nel giorno di S. Biagio, una reliquia del braccio del Santo, esposta entro un reliquiario a forma di braccio benedicente, portato in processione dal Vescovo e esposto alla pubblica venerazione dopo la solenne messa pontificale in cattedrale, al vespro del 3 febbraio.

Nella sua qualità di medico, i fedeli si rivolgono a Biagio anche per la cura dei mali fisici ed in particolare per la guarigione dalle malattie della gola; durante la celebrazione liturgica in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele.
È anche protettore dei laringoiatri, suonatori di flauti, cardatori di lana, fabbricanti di materassi, degli animali e delle attività agricole (secondo la leggenda guariva con un segno di croce gli animali ammalati).

S. Biagio è ricordato dalla chiesa il “dies natalis”, cioè il 3 febbraio, quando fu decapitato, ma a Maratea la festa patronale si celebra nella seconda domenica di maggio con un cerimoniale stabilito da un protocollo vecchio di secoli. I festeggiamenti durano otto giorni e si aprono il sabato precedente la prima domenica di maggio con la processione al Castello, detta “S. Biagio va per la terra”. Il giovedì successivo, il simulacro del Santo viene portato a Maratea Inferiore, e la mattina della seconda domenica di maggio la statua, coperta col drappo rosso, torna nella sua abituale sede al Castello

Vangelo di Martedì 3 Febbraio 2015

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Lettera agli Ebrei 12,1-4.
Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato

Salmi 22(21),26b-27.28.30.31-32.
A te, Signore, scioglierò i miei voti
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
“Viva il loro cuore per sempre”.

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.

A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui,
Servirà il Signore la mia discendenza;
si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;

al popolo che nascerà diranno:
“Ecco l’opera del Signore!”.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 5,21-43.
Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.
Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi
e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva».
Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia
e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando,
udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti:
«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».
E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?».
I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».
Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.
Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.
Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.
Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!».
Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.