San Pio X, Papa


Pio X, al secolo Giuseppe Melchiorre Sarto, secondo di dieci figli, nacque a Riese, il 2 giugno 1835, in una famiglia modesta: il padre Giovanni Battista Sarto era fattore e la madre Margherita Sanson sarta.
Giuseppe Sarto si distinse da molti suoi predecessori e successori proprio per il fatto che il suo “cursus honorum” fu esclusivamente pastorale senza alcun impegno presso la curia o nell’attività diplomatica della Santa Sede.

Ricevette la tonsura nel 1850 ed entrò nel seminario di Padova. Fu ordinato prete nel 1858, divenendo vicario della parrocchia di Tombolo. Nel 1867 fu promosso arciprete di Salzano e poi, nel 1875, canonico della cattedrale di Treviso, fungendo, nel contempo, da direttore spirituale nel seminario diocesano.

Giuseppe Sarto ricoprì le cariche di vescovo di Mantova e poi di patriarca di Venezia. Il governo italiano rifiutò peraltro inizialmente il proprio “exequatur”, asserendo che la nomina del Patriarca di Venezia spettava al Re e che, inoltre, Sarto era stato scelto su pressione del governo dell’Impero Austro-Ungarico. Giuseppe Sarto dovette quindi attendere ben 18 mesi prima di poter assumere la guida pastorale del patriarcato di Venezia. Con la nomina a Patriarca egli ricevette pure la berretta cardinalizia nel concistoro del 12 giugno 1893.
Alla morte di Pp Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci, 1878-1903) il candidato più probabile al soglio di Pietro era considerato il Segretario di Stato Rampolla. All’apertura del conclave, il 1° agosto 1903, la sorpresa: il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia comunica che l’imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe, usando un suo antico privilegio quale “Re apostolico d’Ungheria”, pone il veto all’elezione del cardinale Rampolla.
I motivi del veto sarebbero non soltanto politici, ma anche personali: il Rampolla, quale Segretario di Stato, avrebbe infatti cercato di influenzare Pp Leone XIII a negare una sepoltura cristiana all’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena, suicidatosi durante i fatti di Mayerling.
Malgrado l’indignazione di molti cardinali, la candidatura di Rampolla sfumò e i suffragi si orientarono sul Patriarca di Venezia che fu eletto il 4 agosto ed incoronato il 9.

Prese il nome di Pio X in onore dei suoi predecessori. Scelse come motto del suo pontificato “Instaurare omnia in Christo” (Paolo di Tarso) e lo attuò con coraggio e fermezza.
Una delle prime decisioni di Pio X fu proprio l’abolizione (con la costituzione apostolica “Commissum nobis”) del cosiddetto veto laicale, che spettava ad alcuni sovrani cattolici, e a causa del quale egli era divenuto pontefice.
Il nuovo Papa, consapevole di non avere alcuna esperienza diplomatica né una vera e propria formazione universitaria, seppe scegliere dei collaboratori competenti come il giovane cardinale Rafael Merry del Val y Zulueta, di soli 38 anni, poliglotta e direttore della Pontificia Accademia Ecclesiastica, che fu nominato Segretario di Stato.

Come San Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, 1958-1963) e il Venerabile Giovanni Paolo I (Albino Luciani, 26/08-29/09 1978), che pure passarono dal Patriarcato di Venezia al soglio di Pietro provenendo da famiglie di origine popolare, egli rimase sempre semplice e umile. In Vaticano visse parcamente, assistito dalle sorelle, in un appartamento fatto allestire appositamente. Più controversa la valutazione sul profilo politico del pontificato, la cui linea può essere caratterizzata essenzialmente come conservatrice, in particolare per la lotta ingaggiata contro il modernismo.
Fu tuttavia Pio X ad avviare la riforma del diritto canonico, che culminerà nel 1917 nella promulgazione del Codice di diritto canonico e a redigere il catechismo che porta il suo nome. Anche sul piano della gestione patrimoniale fu lui ad unificare i redditi dell’obolo di S. Pietro e quelli del patrimonio del Vaticano. Ma, soprattutto, riformò la Curia romana con la costituzione “Sapienti consilio” del 29 giugno 1908, sopprimendo vari dicasteri divenuti inutili.

Ebbe a confrontarsi con il problema della separazione fra Stato e Chiesa, che emerse in Francia con l’entrata in vigore della legge del 9 dicembre 1905, nella quale si concentravano gli intenti fondamentali della politica anti-religiosa della terza Repubblica e in particolare del governo di Émile Combes. A partire dal 1880 si erano registrati in Francia una serie di provvedimenti anti-religiosi tendenti alla dissoluzione delle congregazioni religiose, di espulsione dei religiosi regolari: insegnanti, personale infermieristico ecc.
Si mostrò assai meno conciliante verso questa politica fortemente anti-clericale rispetto al proprio predecessore, malgrado la maggioranza dei vescovi francesi gli consigliasse di piegarsi alla nuova legge. La legge emanata dal governo francese il 9 dicembre 1905 segnò il culmine di una simile politica, decretando unilateralmente l’abrogazione del concordato del 1801.
Pio X con l’enciclica “Vehementer Nos” (sul laicismo – separazione tra Chiesa e Stato – in Francia) dell’ 11 febbraio 1906, e l’allocuzione concistoriale “Gravissimum” del 21 febbraio, e l’enciclica “Gravissimo Officii Munere” (sulle associazioni di culto in Francia) del 10 agosto, protesta solennemente contro la legislazione antireligiosa in Francia e conforta il popolo cattolico a resistere, con mezzi legali, onde conservare al Paese la sua tradizione cattolica.
L’ostilità del Pontefice alla nuova normativa francese compromise la creazione delle “associations culturelles”, previste dalla legge del 1905, alle quali avrebbe dovuto essere trasferito il patrimonio della Chiesa. Tale opposizione fece sì che i beni immobili ecclesiastici fossero trasferiti allo Stato francese. La situazione sarebbe mutata soltanto nel 1923 con la creazione delle “associations diocésaines”.
Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo, dopo l’avvento in quel Paese, nel 1910, della repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali. Pio X rispose con l’enciclica “Iamdudum” (sulla legge del divorzio in Portogallo).

Dopo l’attentato di Sarajevo all’arciduca ereditario Francesco Ferdinando, seguì il 28 luglio 1914 l’attacco dell’Austria alla Serbia e man mano il conflitto si estese a tutta l’Europa; per Pp Pio X, già da tempo sofferente di gotta e quasi ottantenne, fu l’inizio della fine. Il suo stato di salute e il deperimento fisico si accentuò e dopo una bronchite trasformatosi bruscamente in polmonite acuta, il pontefice morì nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1914; fu sepolto nelle Grotte Vaticane.
In vita era indicato come un “Papa Santo”, perché correva voce di guarigioni avvenute toccando i suoi abiti, ma lui sorridendo correggeva: “Mi chiamo Sarto non Santo”.

Papa Pio X fu beatificato il 3 giugno 1951 dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) e proclamato santo dallo stesso pontefice il 29 maggio 1954.

La festa fu fissata al 3 settembre ma, dopo la riforma liturgica degli anni 60, è stata spostata al 21 agosto.

Questo è il primo dei comandamenti… E il secondo è simile al primo

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Abbiamo ricevuto il precetto di amare il prossimo come noi stessi. Ma Dio non ci ha forse dato anche una propensione naturale a farlo? … Nulla è più conforme alla nostra natura che vivere insieme, cercarci l’un l’altro e amare il proprio simile. Il Signore domanda dunque i frutti del seme che ha deposto in noi, dicendo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).

Con lo scopo di incitare la nostra anima ad obbedire a questo precetto, non ha voluto che si trovasse il segno distintivo dei suoi discepoli in prodigi o in opere straordinarie, sebbene essi ne avessero ricevuto il dono nello Spirito Santo. Invece, dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). E mette fra i due comandamenti un nesso così stretto, da vedere come fatta a lui ogni opera buona fatta al prossimo: “Perché io ho avuto sete, dice, e mi avete dato da bere”. E aggiunge: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” ( Mt 25,35-40).

L’osservanza del primo comandamento contiene dunque anche l’osservanza del secondo, e mediante il secondo, si torna al primo. Chi ama Dio amerà pertanto il prossimo. “Se uno mi ama, dice il Signore, osserverà la mia parola”. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 14,23; 15,12). Lo ripeto: chi ama il prossimo compie il suo dovere di amore verso Dio, perché Dio ritiene questo dono fatto a lui.

Movimento dei Focolari: “Abbiate coraggio io ho vinto il mondo”

Si concludono con queste parole i discorsi di addio che Gesù ha rivolto ai discepoli nella sua intima cena, prima di essere consegnato nelle mani di coloro che l’avrebbero messo a morte. E’ stato un dialogo serrato, nel quale ha rivelato la realtà più profonda del suo rapporto con il Padre e della missione che egli gli ha affidato. Gesù sta per lasciare la terra e tornare al Padre, mentre i discepoli rimarranno nel mondo per continuare la sua opera. Anch’essi, come lui, saranno odiati, perseguitati, perfino messi a morte. La loro sarà una missione difficile come lo è stata la sua. Egli sa bene le difficoltà e le prove che i suoi amici dovranno affrontare: “nel mondo avete tribolazioni”, ha appena detto. Gesù si rivolge agli apostoli riuniti attorno a sè per quell’ultima cena, ma ha avanti tutte le generazioni di discepoli che lo avrebbero seguito lungo i secoli, anche noi. E’ proprio vero. Pur tra le gioie disseminate sul nostro cammino, non mancano le tribolazioni: ,l’incertezza del futuro, la precarietà del lavoro, la povertà e le malattie, la sofferenza a seguito delle calamità naturali e delle guerre, la violenza diffusa in casa e tra le nazioni. Vi sono poi le tribolazioni legate all’essere cristiani: la lotta quotidiana per rimanere coerenti al Vangelo, il senso di impotenza davanti a una società che sembra indifferente al messaggio di Dio, la derisione, il disprezzo se non l’aperta persecuzione da che non comprende o si oppone alla Chiesa. Gesù conosce le tribolazioni avendole vissute in prima persona ma dice: “Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo”.

Vangelo di Venerdì 21 Agosto 2015

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Libro di Rut 1,1.3-6.14b-16.22.
Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di Moab, con la moglie e i suoi due figli.
Poi Elimèlech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli.
Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni,
quando anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito.
Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane.
Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei.
Allora Noemi le disse: “Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata”.
Ma Rut rispose: “Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio;
Così Noemi tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta dalle campagne di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo.

Salmi 146(145),5-6.7.8-9a.9bc-10.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.

Egli è fedele per sempre.
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40.
In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme
e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.
E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».