Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli

È la prima beatitudine della Legge di Cristo Gesù, il fondamento su cui innalzare tutto l’edificio cristiano, la via sulla quale camminare per portare il regno di Dio in mezzo agli uomini, la porta per entrare nella beata eternità. Per comprendere la povertà in spirito, bisogna guardare a Gesù.

Gesù iniziò la sua esistenza terrena nascendo in una grotta, nella più assoluta povertà. Lui, il Re del cielo e della terra, non sceglie una reggia per venire al mondo, sceglie una condizione umile, semplice. Gli basta solo una mangiatoia dove posare il capo e qualche fascia per essere avvolto. Subito dopo vive da esule, da perseguitato. Fugge in Egitto per salvare la sua vita, vittima del terrore di Erode e della sua superbia. Visse nel nascondimento, nel silenzio, nella sottomissione, fino a trent’anni, quando diede inizio alla predicazione della buona novella. Lui stesso disse di sé che non aveva dove posare il capo, né una dimora stabile, o un luogo sicuro. Fu crocifisso, dopo essere stato spogliato. Morì nudo, solo, gli faceva compagnia la Madre sua, uno dei suoi discepoli e qualche altra persona che lo avevano seguito in quest’ora suprema. Fu sepolto in fretta, in un sepolcro prestato.

Tutta la sua vita pubblica egli l’affidò, per quanto riguardava il suo sostentamento, alla provvidenza del Padre. Il domani per Gesù era sempre posto nelle mani del Padre.

La povertà evangelica è una scelta di fede. È la scelta della libertà non solo dalle cose, ma anche dai propri pensieri. Spirito, mente, cuore, volontà, desideri, sentimenti sono dati al Cielo, perché in essi possa solo regnare il pensiero, la volontà, il cuore, la mente di Dio Padre. Se la nostra vita deve essere a totale disposizione del Signore perché si manifesti attraverso di essa la sua volontà, si compia in essa il suo mistero di salvezza a favore di tutti gli uomini, è necessario una disponibilità totale, una consegna piena a Lui.

Per essere poveri in spirito è necessario che Dio sia al timone della nostra vita e solo Lui. Sia Lui a dirigere la barca della nostra esistenza terrena dove vuole, senza che noi possiamo interferire neanche nelle più piccole cose; è necessario che lo Spirito del Signore prenda in mano tutto di noi e ci guidi, ci conduca, ci muova sui sentieri, sulle vie che Dio ha scelto per noi per realizzare ciò che Lui vuole. Questo esige lo svuotamento di noi; domanda quell’annichilimento di noi stessi che si fa consegna piena a Dio. La povertà in spirito diviene così morte quotidiana a noi stessi, perché Cristo viva in noi, la sua volontà si compia, il suo progetto si realizzi, i suoi pensieri vengano pensati e solo il suo amore venga donato ed offerto al mondo.

La povertà in spirito non può essere in nessun caso equiparata alla nuda povertà, all’assenza dei mezzi di sussistenza; neanche può essere confusa con la miseria che avvolge la stragrande maggioranza degli uomini. Perché la povertà reale diventi povertà in spirito occorre il suo inserimento nella trascendenza, nella soprannaturalità; è necessario che si porti la nostra vita in Dio e che si faccia a Lui la consegna di essa, perché se ne serva e la usi secondo i suoi arcani disegni di salvezza e di redenzione a favore di tutti gli uomini. È proprio della povertà in spirito liberarci dai condizionamenti umani, terreni, mondani nei quali giace la nostra vita, per immetterla in quella libertà di scienza, di coscienza, di conoscenza e di ogni altra virtù che fa sì che si possa rispondere a Dio secondo verità. Povertà in spirito è sinonimo di santità, di libertà interiore ed esteriore da ogni imperfezione. Dove c’è un solo peccato mortale, dove si commette con facilità il peccato veniale non si può parlare ancora di povertà in spirito, perché non si è totalmente liberi per il regno, per il compimento della volontà di Dio.

Conquistando questa beatitudine, invocandola da Dio ogni giorno nella preghiera, a poco a poco la nostra vita comincerà a diventare luce e la gloria di Dio si manifesterà nel mondo attraverso si essa.

Vergine Maria, nella povertà in spirito tu sei modello perfetto. Niente hai cercato, niente hai voluto, niente hai desiderato nella tua vita se non fare la volontà di Dio. A Lui ti sei consegnata: “Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. Tu sei la serva perché hai posto tutta te stessa a servizio del Figlio di Dio e di tutti i figli che sono in te generati, quando nascono alla vita della grazia da acqua e da Spirito Santo. Per questo noi ti benediciamo e ti proclamiamo beata nei secoli eterni.

Signore, la nostra volontà sei tu, il nostro respiro sei tu, tutto sei tu per noi. Fai di noi ciò che vuoi tu. Amen.

Vangelo di Martedì 15 Settembre 2015

cropped-fotolia_62382677.jpg

Lettera agli Ebrei 5,7-9.
Cristo, nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà;
pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì
e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Salmi 31(30),2-3a.3bc-4.5-6.15-16.20.
In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso;
per la tua giustizia salvami.
Porgi a me l’orecchio,
vieni presto a liberarmi.

Sii per me la rupe che mi accoglie,
la cinta di riparo che mi salva.
Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,
per il tuo nome dirigi i miei passi.

Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
Mi affido alle tue mani;
tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Ma io confido in te, Signore; dico: “Tu sei il mio Dio,
nelle tue mani sono i miei giorni”.
Liberami dalla mano dei miei nemici,
dalla stretta dei miei persecutori.

Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
ne ricolmi chi in te si rifugia
davanti agli occhi di tutti.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 19,25-27.
In quell’ora, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

Ecco la tua madre

fotolia_41939128

La gloriosa Vergine ha pagato il nostro riscatto da donna coraggiosa e colma di amore di compassione per Cristo. Nel Vangelo di san Giovanni si dice: « La donna quando partorisce, è afflitta perché è giunta la sua ora » (Gv 16,21). La beata Vergine non ha provato i dolori che precedono il parto, perché lei non ha concepito dopo il peccato come Eva, contro cui è stata portata la maledizione; il suo dolore è venuto dopo: ella ha partorito al momento della croce. Le altre donne conoscono il dolore del corpo, lei ha provato il dolore del cuore. Le altre soffrono per un’alterazione fisica; lei ha sofferto di compassione e di carità.

La beata Vergine ha pagato il nostro riscatto da donna coraggiosa e colma di amore di misericordia per il mondo e soprattutto per il popolo cristiano. « Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? » (Is 49,15) Per questo possiamo capire che l’intero popolo cristiano è nato dalle viscere della gloriosa Vergine. Quale Madre amante abbiamo! Modelliamoci su nostra Madre e seguiamola nel suo amore. Ha avuto compassione delle anime a tal punto che ha considerato un nulla ogni perdita materiale e ogni sofferenza fisica. « Siamo stati comprati a caro prezzo » (1Cor 6,20).

Santa Caterina da Genova


Caterina da Genova, o “Madonna Caterinetta” come affettuosamente veniva chiamata nella sua città, è stata una donna straordinaria non solo per la sua bellezza, ma specialmente per il coraggio dimostrato nel curare gli incurabili, i rifiuti della società genovese. Caterina fu anche una grande mistica, arricchita da speciali rivelazioni da parte di Dio. La situazione politico religiosa e sociale dell’Italia del fine ‘400 e del ‘500 non era una delle più felici. Dal punto di vista religioso si sentiva l’urgenza di una riforma della Chiesa, specialmente di una parte di essa, cioè del clero. Papi, cardinali e vescovi spesso erano più politici, mercanti o affaristi che pastori d’anime. Si stava preparando ed era già in arrivo il ciclone Lutero (1483-1546), che avrebbe cercato la riforma della Chiesa, a suo modo, lacerando profondamente la cristianità europea, fino alla nascita della Chiesa protestante. Anche Caterina voleva la riforma della Chiesa, ma cominciò dal basso, con la propria carità, la preghiera e l’eroismo dimostrato nel lavoro all’ospedale di Genova. Qui, ella non rifiutò i più umili servizi dedicandosi a lenire le sofferenze dell’anima. Convinta che la vita spirituale dovesse cominciare dall’abbandono dell’amore proprio e dell’orgoglio. Una riforma perseguita con la testimonianza e con la propria santità; senza dividere la Chiesa.

Nel 1494-95 l’esercito del re francese Carlo VIII ha percorso l’Italia e la triste eredità del passaggio del suo esercito in Italia fu, oltre ai soliti saccheggi, il cosiddetto “morbo gallico” (o sifilide), un male terribile, una vera epidemia, che fece strage specialmente tra le classi sociali povere. I malati ricchi chiamano i medici in casa, quelli poveri muoiono per le strade, nei fossi senza cure e assistenza.
A Genova, nel 1497, emerge un gruppo che si dedica a questi scarti umani, li accoglie, li nutre, li cura. Animatrice: una signora di rango, Caterina Fieschi moglie del giovane Giuliano Adorno. Fu proprio nel fronteggiare questo disastro sociale che emerse la grandezza morale e la santità di Caterina.

Caterina nasce a Genova il 5 aprile 1447. Faceva parte del nobile casato dei Fieschi: il padre era Giacomo Fieschi, patrizio genovese, nipote di Pp Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi, 1243-1254) e Viceré di Napoli; la madre fu Francesca di Negro.
Era ancora una fanciulla quando sentiva molto forte l’attrattiva alla preghiera. Caterina per la sua avvenenza non passava inosservata: era anche intelligente e di carattere forte. Essendo di famiglia nobile ebbe la possibilità di essere istruita nelle lettere, ma non divenne una umanista; più che l’amore ai classici sentiva l’attrazione verso i mistici. A tredici anni, perciò, chiese di entrare nel monastero e diventare suora agostiniana, ma l’età, l’opposizione della famiglia e dei parenti lo impedirono.
In seguito Caterina fu indotta a pronunciare il fatidico sì il 13gennaio 1463 quando aveva appena16 anni: era chiaramente un matrimonio “politico” che curava gli interessi delle famiglie dei Fieschi e Adorno. Non si pensava minimamente alla volontà ed alla felicità della ragazza. Lo sposo, del resto, era un uomo violento, brutale, dissoluto, dissipatore delle ricchezze, senza freni e senza regole e non aveva alcuna attenzione e rispetto per la moglie, anche se giovane e bella. Furono 5 anni di autentica sofferenza per lei, passati in una desolante solitudine dentro una ricca, bella e grande casa. Dopo questi anni, dietro suggerimento di alcune amiche, anche Caterina assaggiò un po’ la vita “mondana” della Genova bene.

Ed ecco la conversione totale, che avvenne il 20 marzo 1463, davanti al Cristo crocifisso. Aveva capito in un istante che “Dio è Amore”, e che questo Amore si era manifestato pienamente in Cristo e, particolarmente, nella sua passione e morte. Caterina ebbe così una di quelle estasi o rapimenti mistici che si ripeteranno anche in seguito. Primo effetto di questa conversione fu: la conversione del marito Giuliano che entrò nei Terziari Francescani. Insieme e di comune accordo, lasciarono la loro grande casa e si ritirarono in una, molto più modesta, vicino all’ospedale di Pammatone dove, sempre insieme, si diedero al servizio dei malati. Servizio che per lei durò più di 30 anni dirigendo l’impegno dei collaboratori verso un obiettivo preciso: vivere l’esperienza dell’amore di Dio andando dai più infelici e disprezzati. Fu anche nominata, lei donna, rettore dell’ospedale, che ella amministrò non solo con slancio di amore ma anche con grande ed intelligente efficienza. Infatti, cambia l’organizzazione nell’ospedale cercando il meglio tra medici e cure ma partendo sempre dall’idea di Dio-Amore: quest’amore che va trasmesso subito a tutti, cominciando dai disperati in ogni necessità. Bisogna “piantare in li cori nostri il divino amore, cioè la carità” diceva spesso.
Questo è l’insegnamento di Caterina, dispensato e vissuto fino alla morte. Lei era anche una donna mistica ma questo fatto non l’alienava dalla realtà quotidiana e misera della condizione umana di quei poveracci.
Particolarmente esemplare fu il suo impegno coraggioso e totale nel curare gli appestati del 1493. Un fatto destò la meraviglia dello stesso Lutero in visita a Genova: Caterina non era la sola a praticare con tanto eroismo l’amore al prossimo. Anche questo era un contributo alla rivitalizzazione della vita cristiana. Dietro suo impulso, Ettore Vernazza, un laico notaio e umanista, fondò la Fraternità del Divino Amore, composta di clero e laici, tutti accomunati dall’unico fine di vivere dell’Amore di Dio e farlo conoscere nella testimonianza quotidiana, particolarmente verso i poveri e gli ammalati. Un’associazione, questa, che servirà da modello anche ad altre in seguito.
La vita eroica e di servizio totale di Caterina non passava certo inosservata. Molte altre persone, attratte da lei, le chiedevano una guida spirituale per camminare nella via del Signore. E così nei convegni spirituali di Pammatone, Caterina effondeva in preziosi ammaestramenti quello che guidava il suo cuore e la sua azione: l’Amore di Dio. Le esperienze mistiche che aveva le traduceva, come poteva, in parole di sostegno spirituale agli altri.

I suoi insegnamenti ci sono stati trasmessi anche con due opere: “Dialogo spirituale”, una specie di autobiografia in cui descrive il proprio cammino spirituale, e >>> “Il Trattato del Purgatorio” : qui ci parla, con un linguaggio semplice della terribile serietà delle sofferenze delle anime per purificarsi e prepararsi all’incontro con Dio. È l’Amore di Dio che sostiene queste anime, e la certezza di vederlo che le aiuta pur nel dolore. È un’opera di densa teologia, studiata e ammirata da vari esperti del settore.
Questo le fece meritare il titolo di Dottoressa del Purgatorio. Alla base del suo insegnamento spirituale, valido anche oggi, Caterina pone la lotta all’amor proprio. Dio deve essere amato per se stesso, non per i suoi doni e grazie. Ed il fine della vita spirituale è proprio arrivare ad amare Dio solo per amore di Dio. Condizione indispensabile, però, è spogliarsi dell’amor proprio, perché può impadronirsi del cuore e della mente dell’uomo fino a diventare il vero motore del proprio pensare ed agire, escludendo così Dio dal proprio orizzonte di valori guida. A questa purificazione del nostro io, cresciuto troppo a scapito di Dio, servono le sofferenze che Dio stesso permette che abbiamo, in questa vita e nel Purgatorio. E Caterina di sofferenze ne ebbe veramente tante: il suo io era completamente purificato nell’amore completo e totale di Dio, attraverso i servizi più umili ai malati.
Già verso la fine, Caterina si ammala anche di peste curando una malata.“Misteriosa malattia” che la scienza del tempo non riusciva a capire. Lei rimase sempre serena e tranquilla, totalmente e fiduciosamente nelle mani di Dio; la morte, d’altra parte, non le faceva certo paura.
E la morte “dolce e soave e bella” arriva il 15 settembre 1510 a 63 anni; venne sepolta a Genova, nella chiesa della SS. Annunziata di Portoria.
Beatificata da Pp Clemente X (Emilio Altieri, 1670-1676) il 6 aprile del 1675, è stata canonizzata il 23 aprile 1737 da Pp Clemente XII (Lorenzo Corsini, 1730-1740), in seguito, proclamata patrona e protettrice di Genova.

Significato del nome Caterina: “donna pura” (greco).

Beata Vergine Maria Addolorata

La devozione alla Vergine Maria Addolorata, che trae origine dai passi del Vangelo, dove si parla della presenza di Maria Vergine sul Calvario, prese particolare consistenza a partire dalla fine dell’XI secolo e fu anticipatrice della celebrazione liturgica, istituita più tardi.

Il “Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius” di ignoto (erroneamente attribuito a S. Bernardo), costituisce l’inizio di una letteratura, che porta alla composizione in varie lingue del “Pianto della Vergine”.
Testimonianza di questa devozione è il popolarissimo “Stabat Mater” in latino, attribuito a Jacopone da Todi, il quale compose in lingua volgare anche le famose “Laudi”; da questa devozione ebbe origine la festa dei “Sette Dolori di Maria SS.” Nel secolo XV si ebbero le prime celebrazioni liturgiche sulla “compassione di Maria” ai piedi della Croce, collocate nel tempo di Passione.

A metà del secolo XIII, nel 1233, sorse a Firenze l’Ordine dei frati “Servi di Maria”, fondato dai SS. Sette Fondatori e ispirato dalla Vergine. L’Ordine, che già nel nome si qualificava per la devozione alla Madre di Dio, si distinse nei secoli per l’intensa venerazione e la diffusione del culto dell’Addolorata; il 9 giugno del 1668, la S. Congregazione dei Riti permetteva all’Ordine di celebrare la Messa votiva dei sette Dolori della Beata Vergine, facendo menzione, nel decreto, che i Frati dei Servi portavano l’abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio.

Successivamente, Pp Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1691-1700), il 9 agosto 1692, autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori della Beata Vergine la terza domenica di settembre.
Ma la celebrazione ebbe ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme e Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1800-1823), il 18 settembre 1814, estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano.
Infine S. Pio X (1903-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre), con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma più opportunamente come “Beata Vergine Maria Addolorata”.

La memoria della Vergine Addolorata (in latino Mater Dolorosa) chiama a rivivere il momento decisivo della storia della salvezza e a venerare la Madre associata alla passione del figlio e vicina a lui innalzato sulla croce. La sua maternità assume sul calvario dimensioni universali presentandosi come la nuova Eva, perché, come la disobbedienza della prima donna portò alla morte, così la sua mirabile obbedienza porti alla vita.

I Sette Dolori di Maria, corrispondono ad altrettanti episodi narrati nel Vangelo:

1. La profezia dell’anziano Simeone, quando Gesù fu portato al Tempio «…E anche a te una spada trafiggerà l’anima » (Lc 2,35).
2. La Sacra Famiglia è costretta a fuggire in Egitto « Giuseppe, destatosi, prese con sé il Bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto » (Mt 2,14).
3. Il ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio a Gerusalemme «…Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo » (Lc 2,48).
4. Maria addolorata, incontra Gesù che porta la croce sulla via del Calvario.
5. La Madonna ai piedi della Croce in piena adesione alla volontà di Dio, partecipa alle sofferenze del Figlio crocifisso e morente.
6. Maria accoglie tra le sue braccia il Figlio morto deposto dalla Croce.
7. Maria affida al sepolcro il corpo di Gesù, in attesa della risurrezione.